Nel 1942 la Fortezza Grande divenne un ghetto per gli ebrei cechi.
Il 20 gennaio 1942 Terezin diventò un ghetto modello, dove venne deportata tutta quella parte di popolazione che contava: musicisti, artisti e professionisti.
A Terezin furono deportati circa 150.000 ebrei, 15.000 di loro erano bambini.
Nel ghetto morirono circa 33.000 persone e solo 100 ritornarono dai campi di sterminio o di concentramento. Il ghetto era amministrato da un comandante nazista. Al di sotto c’era il Consiglio degli Anziani che compilava le liste delle persone che sarebbero poi state deportate verso Est.
A Terezin uomini e donne venivano separati subito e i bambini fino a 12 anni vivevano con le donne. Poi furono anche loro mandati a vivere in case a parte, affidati a ex insegnanti o a persone con una preparazione pedagogica, che avevano scelto spontaneamente di svolgere questo compito.
Nel ghetto, dai 14 anni in su, era obbligatorio lavorare.
All’arrivo si doveva consegnare tutto: medicine, denaro, carta da lettere e sigarette.
C’era poca privacy, anzi era scarsissima, quasi come le condizioni igieniche. L’ambiente era pieno d’insetti e si diffondevano molte malattie. Come ho detto prima, i bambini venivano affidati ad educatori. Fare scuola ai bambini era severamente vietato e chi veniva scoperto a farlo veniva subito inserito in un treno diretto ai campi; nonostante ciò Irma Lauscherova e altri insegnanti facevano scuola. Riscrivevano a memoria i libri di testo e appassionavano gli alunni all’arte, alla musica e alla letteratura. Friedl Dicker-Brandeis pagava la carta e i colori per aiutare i bambini a sconfiggere la paura usando l’arteterapia. Insieme all’educatore Eisinger i ragazzi fecero un giornalino, il Vedem, che veniva letto ogni venerdì sera in soffitta. Il direttore del settimanale era Petr Ginz, un ragazzo di 14 anni.
Il maestro Freudenfeld diresse un coro di bambini con le musiche di Hanus Kràsa. I bambini parteciparono a uno spettacolo, intitolato Brundibar; lo spettacolo venne replicato 55 volte e il livello era talmente alto che fu inserito nel film di propaganda nazista “Hitler dona una città agli ebrei”. In questa occasione lo spettacolo venne ripreso in un teatro vero e proprio, con scene e costumi. Finito lo spettacolo però, Hanus Kràsa, i bambini, gli scenografi e tutti quelli che avevano aiutato vennero deportati ad Auschwitz.
Per preparci a questa attività, con la prof. Ferrario, abbiamo letto in classe la scheda, poi io e altri compagni abbiamo fatto un PowerPoint e ci siamo divisi le parti. Con la prof. Minotti, invece, abbiamo letto e commentato alcune poesie scritte dai bambini di Terezin. In particolare io ho esposto, oltre alla parte storica, la poesia
“ Una sera di sole”. Parla di un bambino che è seduto in mezzo al cantiere e guarda il panorama all’interno del ghetto. Descrive un castagno dal tronco alla chioma. Con una sinestesia, ovvero l’accostamento di due termini di sfere sensoriali diverse, il grido (udito) azzurro (vista), ci fa capire che l’autore ha il desiderio di rifiorire. Tutto intorno a lui rinasce, ma lui non è libero di farlo, eppure non si arrende.
Secondo noi i bambini hanno questo attaccamento alla vita perché nella loro innocenza non riescono a capire quanto il mondo a volte possa essere crudele.
Io e la mia classe abbiamo fatto da guide giovedì 7 febbraio ai ragazzi di prima e di seconda A. La mostra è rimasta aperta alla cittadinanza dall’8 al 10 febbraio ed io sono andata due giorni, con Aya. Il sabato abbiamo accompagnato il Sindaco e ci ha fatto molti complimenti. Mi è piaciuto tanto fare questo progetto, sia perché mi interessa molto tutto quello che riguarda la Seconda Guerra Mondiale, sia perché ho avuto la possibilità di far sentire la mia voce, cosa che prima non avevo mai fatto. Diciamo che questo lavoro mi ha aiutato a esprimermi e mi ha fatto crescere. Ho capito che nel mondo non c’è differenza tra gli uomini.
RELAZIONE SULLA VISITA AL MEMORALE DELLA SHOAH DI MILANO
Il 22 gennaio la mia classe, la 3°B, il Sindaco e 4 insegnati siamo andati in Stazione Centrale a Milano, a visitare il Binario 21- Memoriale della Shoah; da qui partivano i treni con i deportati italiani verso Auschwitz, Birkenau, Mauthausen e Bergen-Belsen. La guida ci ha spiegato la funzione del binario, sia prima, sia durante, sia dopo la guerra. Prima veniva usato come luogo per depositare e poi trasportare la posta, visto che il palazzo della posta era lì vicino e perciò era comodo. Durante, invece, veniva usato, come ho detto prima, per trasportare le persone che dovevano essere deportate. Finita la guerra, il binario divenne un memoriale, con lo scopo di far capire alla gente cosa succedeva laggiù.
All’ingresso del memoriale della Shoah, c’è un muro con la scritta “Indifferenza”. Questa parola ci vuole far capire che durante la deportazione molta gente non voleva immischiarsi per non finire nei guai.
Poi siamo saliti su un vagone del treno e ci ha fatto vedere come venivano ammassate le persone deportate. Mi ha fatto una certa impressione entrare lì dentro. Era strano, era come se quel treno stesse partendo e tu non potevi farci niente. E stavi lì, ignaro del tuo destino. Non potevi ribellarti perché se no finivi male. Eri tu, solo, senza neanche la tua dignità. Questa visita mi ha fatto riflettere molto e mi ha colpito; non pensavo che tanta crudeltà, così ben organizzata e pianificata, potesse avere così tanto successo.
Considerazioni finali
Questo percorso, sia l’uscita al Binario 21, sia la mostra di Terezin mi ha cambiata.
Ho riflettuto di più sulla mia personalità e su quello che voglio essere. Ho conosciuto una nuova me, che non si vergogna ma che affronta la vita con successo.
Io non sono così, sono una ragazza molto riservata e che non riesce, anche se vuole, a esprimersi nei temi o in qualunque altro posto o circostanza. Ci ho messo tutta me stessa per fare qualcosa di diverso ed esprimere me stessa, questa volta.
TESTO DI ARIANNA TOTO, 3A - FOTO DI GIADA CESANA 3A