venerdì 25 febbraio 2022

CULTURA - Consigli di Lettura "Hoopdriver"

Pierdomenico Baccalario
Hoop Driver - Duecento miglia di libertà
Mondadori 2021

Bomba Elisa 2A

Billy Hoopdriver è un ragazzino di 13 anni, che è arrabbiato con suo padre e con il mondo, quindi un giorno decide di scappare di casa con Azzurra, la sua amata bicicletta.
Duecento miglia lo separano da suo nonno, Jim Hoopdriver, che era un musicista. A legarli c’è una promessa che Billy deve assolutamente mantenere, nonostante il virus che sta imprigionando il mondo.
Quindi inizia un viaggio straordinario...
Billy pedala a ritmo i musica rock che gli pulsa nelle orecchie, mentre scopre paesaggi mozzafiato e persone che non dimenticherà mai: come Annabel una ragazza che conosce il nome di ogni singolo fiore, un uomo misterioso che vive nei boschi, un cane nero di nome Shackleton e un poliziotto di nome Mike che mette in pericolo il suo viaggio.
Billy riuscirà a mantenere la promessa al Nonno e a se stesso?

Buona lettura!


mercoledì 9 febbraio 2022

LEGALITA' - Resoconto incontro con il giudice Giuseppe Battarino

Venerdì 21 gennaio 2022, alle 8:15, ha avuto luogo, da remoto, la conferenza del giudice Giuseppe Battarino rivolta alle classi terze della scuola secondaria di primo grado di Olgiate Comasco.

L’introduzione della conferenza è stata pronunciata dall’assessore all’istruzione e alla cultura del Comune di Olgiate Comasco Paola Vercellini che ha presentato il concetto, da lei definito astratto, di legalità. La legalità è un concetto difficile che vede come punti chiave rispettare le regole e gli altri, ma anche fare le scelte giuste, un aspetto importante, che però, soprattutto in un'età come la nostra, come quella di noi ragazzi, è ancora più difficile; la legalità quindi è il punto di partenza per vivere da uomini e donne liberi.
Successivamente ha preso la parola il magistrato Giuseppe Battarino, collaboratore della commissione parlamentare sulle ecomafie; egli ha raccontato diverse esperienze personali riguardanti un tema di rilievo come quello ambientale. 
Una delle esperienze da lui raccontata ebbe luogo in una piazza di Roma, dove era in atto una manifestazione di un movimento per l’ambiente, Fridays For Future, i manifestanti stavano utilizzando telefoni cellulari per condividere la manifestazione anche sui social; un aspetto molto importante da sapere è che ogni giorno vengono inviate 5 miliardi di fotografie, questo invio continuo di immagini, a causa delle risorse consumate dai server, determina un impatto negativo sul clima e l’ambiente: attualmente l’impatto è dell’8% ma tra 10 anni si stima che le immagini abbiano un impatto del 20%.
A seguire, il magistrato ha esposto una sua presentazione in cui mostrava luoghi da lui visitati: le immagini rappresentano paesaggi apparentemente naturali, ma in realtà, sottoposti ad un lieve impatto antropico solo per il fatto che egli, il magistrato Giuseppe Battarino, era presente in quel luogo a scattare una fotografia. Quindi è fondamentale porsi questa domanda: quanto incide ogni impatto antropico?
Non c’è una vera e propria risposta a questa domanda ma ogni impatto antropico ha un peso notevole sul clima e l’ambiente per questo sono presenti delle regole, delle leggi per limitarlo.
Il magistrato Giuseppe Battarino ha continuato il suo discorso citando un articolo della Costituzione italiana e un libro: “I limiti dello sviluppo”.
L'articolo citato è l’articolo 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, egli con questo articolo vuole esprimere che ogni ragazzo o ragazza non può essere felice senza una famiglia, amici, sport e tutte quelle attività che occupano uno spazio nella vita sociale di ciascuno. 
Invece, sul libro “I limiti dello sviluppo”, scritto nel 1972 da numerosi scienziati, studiosi interessati al tema climatico, il magistrato ha mostrato un grafico che illustra gli interessi personali e impersonali: attualmente gli interessi sono amici e famiglia espressi in tempi brevi, invece egli afferma che ogni persona dovrebbe proiettare i propri interessi nel futuro ed estendersi in tutto il mondo, avere più sogni, più aspettative da se stessi, per sviluppare ed accrescere le possibilità di un mondo migliore. Quindi non solo occuparsi dei propri interessi ma degli interessi comuni.
La conferenza è continuata quindi con altre immagini che inquadrano discariche non a norma e fosse di rifiuti abusive; in questi luoghi sono contenuti tutti gli oggetti della nostra vita. Poiché ogni oggetto ha una vita, alla fine di esso dovrebbe essere riciclato, ma purtroppo non sempre è così, perché se questi oggetti non vengono riciclati correttamente, a volte vengono portati su camion che depositano questi cosiddetti rifiuti in discariche abusive.
Parlando di ambiente, fortunatamente non ci sono solo luoghi e aspetti negativi: un'altra immagine scattata e mostrata dal magistrato raffigura un impianto di trattamento dei rifiuti di Bologna: un impianto molto tecnologico dove i diversi tipi di plastiche, una volta arrivati, vengono accuratamente divisi da un nastro, ma le nuove tecnologie non sempre bastano, perché a lavorare in tali impianti è sempre presente anche l’uomo.
Per tutelare l’ambiente è importante svilupparsi, sviluppare nuove tecnologie, nuovi macchinari che aiutino l’uomo in questa lotta, ma può anche bastare un piccolo gesto come raccogliere un rifiuto, ad esempio una bottiglietta d’acqua: questo è un piccolo gesto ma fondamentale per il futuro, è un gesto esercitato da un bravo cittadino che pensa al futuro della propria nazione, ma anche al mondo in generale. Il contrario di cittadino, secondo il magistrato Battarino, è idiota poichè dal greco significa proprio “non cittadino, persona che pensa al benessere personale e non a quello di gruppo”. Questo cosidetto idiota è una persona che non compie un gesto per l’ambiente, è una persona che non raccoglie la bottiglietta, o in maniera ancora più grave, che la butta a terra.
Un'altra fotografia mostrata dal magistrato Battarino rappresenta quello che rimane del vecchio stabilimento dell’ipCA, stabilimento di coloranti alimentari. Con questa fotografia si vogliono ricordare tutte le vittime, all'incirca 200, che dopo anni di lavoro sono morte per le scorie presenti sul luogo di lavoro, ancora oggi in quel capannone ormai abbandonato si trovano delle scorie di fonderia radioattive.
Il magistrato Giuseppe Battarino ha continuato parlando dell’Italia, di come sia uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo: l'estrazione del petrolio è un processo molto complicato e richiede l’uso di risorse ed ha un forte impatto ambientale, quindi bisogna sviluppare maggiori tecnologie per limitare questo impatto.
Poi, il magistrato Battarino ha mostrato delle altre immagini riguardanti due porti: il porto di Rotterdam e il porto di Genova: questi sono porti commerciali che contengono e trasportano molti container, ma non sempre questi contengono oggetti nuovi da vendere perchè il 10% degli oggetti e dei materiali contenuti nei container sono rifiuti che non verranno  mai utilizzati. 
Esistono rifiuti di tutte le dimensioni, anche navi intere come mostra il magistrato Giuseppe Battarino nell’immagine successiva, la quale raffigura una nave abbandonata nel mare vicino a Ravenna; queste navi sono rifiuti molto difficili da smaltire. L’esempio più famoso di nave smaltita è la Costa Concordia, nave che si è scontrata contro uno scoglio, nei pressi dell’Isola del Giglio, nella regione Toscana. Essendo una nave di grandi dimensioni, smaltirla è stato un compito arduo: è stata trasportata al porto di Genova dove è stata smaltita in soli due anni, un tempo ragionevole per navi di grandi dimensioni. Il caso della Costa Concordia fu un successo perché lo smaltimento ebbe un impatto zero, ciò non toglie che per raggiungere questo risultato ci fu un impiego di risorse notevole, che portò ad un costo elevato.
Il magistrato Giuseppe Battarino ha concluso esponendo una diapositiva che mostra una problematica attuale: i depositi di rifiuti radioattivi, nello specifico nei Paesi Bassi. Le scorie sono un pericolo per i residenti che abitano nei dintorni, per fortuna questi non sono presenti nella nostra nazione.

La conferenza si è conclusa alle ore 10.00.

Sophie Centulani, assessore alla Legalità (2'A) e Viola Marras, delegata alla Legalità (2'D)

SALUTE - Intervista all'ostetrica dell'ospedale di Varese Natalia Gargiulo

Buongiorno, sono Arianna Desiante della scuola secondaria di Olgiate Comasco. Oggi le farò qualche domanda per il Consiglio comunale dei Ragazzi, cui partecipo come delegata per la mia classe. Noi ci occupiamo di salute.

Cosa l'ha spinta a scegliere il lavoro di ostetrica?

Fin da piccola, da quando avevo solo tre anni, volevo fare questo lavoro, non sapevo bene il nome ma dicevo che desideravo "far nascere i bambini.

Quali sono le emozioni che la accompagnano nel suo lavoro?

Le emozioni che mi porto nel cuore durante la mia giornata lavorativa sono tante: gioia, serenità e meraviglia nel vedere nascere tante vite, ma alcune volte paura e tristezza davanti a situazioni complicate, che per fortuna “arrivano” poche volte.

Quali sensazioni prova mentre assiste ad un parto? Come si sente?

Quando assisto ad un parto e vedo nascere una nuova vita mi emoziono sempre come fosse la prima volta. E’ bellissimo vedere le lacrime di gioia dei genitori e lo stupore negli occhi di tutti. Mi sento felice anche io per aver condiviso un pezzo di gioia di quella famiglia.

Quali soddisfazioni le dà il suo lavoro ? E quali delusioni?

Il mio lavoro è la mia missione di vita, sono nata per fare questo mestiere. Sono fortunata perché non ho mai vissuto momenti brutti legati a particolari delusioni. 

Quale trasformazione ha subito il suo ospedale durante questo periodo cupo generato dalla pandemia in corso?

Purtroppo stiamo vivendo due anni di "inferno" nel mio ospedale, come in tutti, penso. Vedere donne positive al Covid partorire senza nessun familiare è molto triste, ma per la sicurezza di tutti deve essere così. Anche il nostro abbigliamento in sala parto e in sala operatoria è cambiato e quasi non ci riconosciamo nemmeno noi colleghi.

Cosa pensa del fatto che vi abbiano chiamato eroi?

Sono state solo belle parole di chi si aveva bisogno in un momento terribile… dopo siamo stati dimenticati. Il dover lavorare in certe condizioni non ottimali è diventata la normalità se non anche un dovere degli operatori sanitari.

Può mandare un messaggio di speranza?

Prima o poi tutto questo finirà… speriamo che nel cuore di ognuno di noi possa restare un pochino di unità e solidarietà che avevamo durante la prima terribile ondata.

SALUTE - Intervista alla dottoressa Sabina Campi, primario del 118 di Varese

Buongiorno, sono Arianna Desiante della scuola secondaria di Olgiate Comasco.

Oggi le farò qualche domanda per il Consiglio comunale dei Ragazzi, cui partecipo come delegata per la mia classe. Noi ci occupiamo di salute.

Cosa l’ ha spinta a fare questo lavoro?

La motivazione che mi ha spinto a fare questo lavoro è stato quando il mio papà ha vissuto un brutto periodo di malattia e, quindi, da lì ho maturato la scelta di svolgere la professione di medico.

Quali emozioni prova quando deve soccorrere le persone?

Quando soccorro le persone provo sempre un po' di paura perché non si sa mai cosa può succedere. Provo anche un po' di tristezza quando qualcuno non ce la fa, mentre gioia e felicità quando va tutto va bene e a buon fine. 

Quando le situazioni peggiorano come si sente? Riesce comunque a mantenere la calma? 

Come succede a tutti, ho sempre un po' di paura, ma l'esperienza maturata negli anni mi aiuta a mantenere comunque la calma perché, se la perdi, magari potresti peggiorare situazioni già di per sé complicate. 

Quali sono le emozioni che prova quando qualcuno non ce la fa? Quando, invece, è fiera e si sente soddisfatta se riesce a compiere la sua missione fino in fondo? Può fare anche degli esempi? 

Quando qualcuno non ce la fa sono addolorata e ho dentro di me un senso di vuoto perché non sono riuscita a salvarlo. Sono contentissima quando riesco a compiere fino in fondo il mio lavoro. Sono triste quando magari muore un ragazzo o un bambino o quando a lasciarci sono una mamma o un papà vedi i figli che soffrono e piangono. Sono felice quando riesco a far ripartire il cuore di qualcuno oppure quando aiuto a far partorire una signora in casa che non ha tempo di recarsi in ospedale perché il bambino ha fretta di "conoscere il mondo". 

Quali sono le soddisfazioni e le delusioni che le dà il suo lavoro?

Le soddisfazioni che mi dà il mio lavoro sono i sorrisi della gente che aiuto mentre le delusioni sono la burocrazia e le difficoltà legate a carenze sanitarie. 

Come si è trasformato il suo campo lavorativo durante questo periodo cupo di pandemia?

È avvenuta una sorta di deumanizzazione e abbiamo dovuto alzare la guardia, anche indossando un abbigliamento che spesso non ci consente di respirare, per non parlare dell'impossibilità di mantenere il distanziamento nelle nostre operazioni di soccorso.

Cosa pensa del fatto che vi chiamavano "eroi" in piena pandemia? 

Noi non siamo eroi, ma semplicemente abbiamo svolto e amato il nostro lavoro, nonostante tutto. Eravamo un po' gli attori principali del momento. 

Mandi un messaggio di speranza a chi leggerà la sua intervista.

Spero che questa brutta esperienza ci insegni a godere di tutti i momenti e a rivalutare le cose più importanti che abbiamo, che sono la famiglia e gli affetti.

SALUTE - Intervista all'infermiera pediatrica del Sant'Anna Paola Gilardi

Buongiorno, sono Sonia Saglimbeni della scuola secondaria di Olgiate Comasco. Frequento la classe 2’C. Con i miei compagni partecipo al Consiglio Comunale dei ragazzi, ci occupiamo di salute. La ringrazio per l'intervista che mi sta rilasciando.

Lavora come infermiera da diversi anni in Pediatria e in Pronto Soccorso Pediatrico, che cosa l’ha spinta a fare questo lavoro?

In realtà non sono io che ho scelto il mio lavoro ma è il lavoro che ha scelto me. Fin da piccola ogni volta che andavo a fare una visita medica, un prelievo del sangue o una vaccinazione non dormivo per due giorni…avevo il terrore dei dottori, degli infermieri e degli ospedali e così per farmi passare la paura immaginavo sempre a come sarebbe stato essere dall’altra parte, ad indossare il camice bianco e a tenere una siringa in mano anziché essere distesa in un lettino in lacrime ed impaurita. Così da grande sono diventata infermiera, per essere dall’altra parte, per dare aiuto ai tanti bambini che hanno bisogno di cure  e che magari come me, hanno paura degli ospedali e dei dottori.

Cosa fa un infermiere in un pronto soccorso pediatrico o in una pediatria?

Essere infermiera in un Pronto Soccorso Pediatrico o in una Pediatria non è diverso dall’essere infermiera in un altro reparto, semplicemente occorre avere delle capacità e delle competenze specifiche per poter gestire i piccoli e i grandi pazienti, da 0 a 18 anni. I bambini e gli adolescenti non sono dei “piccoli adulti”: hanno caratteristiche fisiche diverse, affrontano la malattia, il dolore o la paura in modo diverso rispetto agli adulti e spesso hanno problemi di salute diversi a seconda dell’età. Anche le cure e le terapie cambiano in base all’età e al peso del bambino. L’infermiere in pediatria deve perciò conoscere i farmaci e i dosaggi, saper fare dei calcoli per somministrare la giusta dose di farmaco e trovare le strategie adatte per distrarre il bambino piccolo o far collaborare quello più grande. I bambini poi in ospedale hanno sempre bisogno di un genitore o di una persona della famiglia su cui contare, soprattutto durante le visite o le procedure più dolorose. E’ importante che i genitori siano sempre nella stanza con il loro bambino e l’infermiere deve curare il piccolo paziente coinvolgendo sempre il genitore e gestendo al meglio la sua ansia e la sua  preoccupazione.

Com’è cambiato il pronto soccorso pediatrico dopo l’emergenza Covid?

Con la pandemia gli Ospedali sono stati rivoluzionati. E’ stato necessario riorganizzare il Pronto Soccorso ma anche gli altri reparti, creando aree e percorsi diversi per i pazienti positivi e non. A causa dell’emergenza per dare più spazio ai pazienti Covid il Pronto Soccorso Pediatrico in cui attualmente lavoro è stato trasferito in un'altra area dell’ospedale, sono state create due sale di attesa, una per i pazienti positivi e una per i negativi. Purtroppo gli spazi per le visite, le procedure  e il triage sono ridotti e non sempre è facile gestire le tante persone che si recano in ospedale. Anche il personale poi purtroppo si ammala e per chi resta il lavoro si moltiplica. All’ingresso del Pronto Soccorso a tutti i bambini ora viene fatto un tampone antigenico per poter ridurre al minimo il rischio di contagio e viene chiesto il Green Pass agli accompagnatori. I lettini e gli spazi  usati dai bimbi positivi vengono puliti e disinfettati prima di far accedere un altro paziente perciò anche i tempi di attesa possono essere  più lunghi se non c’è una problematica grave. Noi infermieri ma anche i medici e tutti gli operatori sanitari che lavorano in Ospedale ce la mettiamo sempre tutta per curare i pazienti al meglio, anche dal punto di vista emotivo, rispondendo ai bisogni dei più piccoli con la calma ed il sorriso. Purtroppo oggi il sorriso non è più lo stesso perché si nasconde dietro a mascherine, visiere e ad un travestimento “spaziale” che spesso spaventa i bambini anziché tranquillizzarli. 

Qual è l’aspetto più bello ed interessante del suo lavoro?

Credo sia molto bello e gratificante il mio lavoro sia da un punto di vista umano che professionale. In un Pronto Soccorso gli incontri con le persone sono veloci, della durata di qualche minuto al Triage, il tempo di una visita medica,  l’attesa di un esame o di una procedura. Il bello del mio lavoro non è sicuramente il prelievo, la medicazione o la fasciatura…credo sia la gratificazione che si prova quando si riesce ad aiutare chi ha bisogno, a risolvere un problema di salute, a strappare un sorriso un bimbo spaventato e in lacrime, è la gratificazione che si ha quando il paziente guarisce e ti ringrazia per ciò che hai fatto per lui. E’ molto interessante e bello lavorare in equipe, collaborare con i colleghi, con i medici, con i  diversi specialisti, confrontandosi ed imparando ogni giorno qualcosa di nuovo. 

Quale considera l’aspetto più duro di questo lavoro?

I turni pesanti, il sonno mancato, il poco tempo che si dedica alla famiglia , l’imprevisto che può accadere durante il turno e la gestione di un caso difficile che spesso ti lascia il segno e te lo porti nel cuore per sempre.

Che consiglio darebbe ai genitori che si recano in pronto soccorso preoccupati per i loro bambini?

Il Pronto Soccorso Pediatrico, come tutti i Pronti Soccorsi, andrebbe utilizzato per gestire i problemi di salute gravi, non risolvibili dal pediatra. Indubbiamente il pronto soccorso è comodo, è sempre aperto anche di notte, non serve prendere l’appuntamento, si può andare anche di sabato e domenica e i problemi vengono risolti nel giro di qualche ora o di mezza giornata. Purtroppo oggi il Pronto Soccorso Pediatrico è preso d’assalto per qualsiasi tipo di problema perché l’ansia dei genitori porta a correre in ospedale immediatamente appena il bambino piange, ha la febbre da un’ora, è stato punto da un insetto, ha il raffreddore o un piccolo graffio. Oggi anche il tampone antigenico positivo fatto a casa o il contatto con la maestra positiva fa correre i genitori in pronto soccorso senza motivo. Questa situazione purtroppo porta all’affollamento e attese di molte ore per la visita o per un referto…intanto il bimbo piange, si stanca, ha fame, sonno e diventa insofferente…giustamente, poverino!

Il consiglio che posso dare? Valutare bene quando sia davvero il caso di portare un bimbo in un Pronto Soccorso, non farsi prendere subito dall’ansia per qualsiasi problema risolvibile magari anche in farmacia o dal  pediatra. Se poi si decidesse comunque di recarsi al Pronto Soccorso ricordarsi che hanno la precedenza sempre i casi più gravi e che l’ansia di mamma e papà purtroppo non è mai considerata un’emergenza se il bambino sta bene.

Durante l’emergenza Covid gli infermieri sono stati definiti “eroi”. Cosa ne pensa?

L’emergenza ancora non è passata purtroppo, gli ospedali sono ancora affollati, pieni di persone che stanno male, che passano giorni su barelle nei corridoi del Pronto Soccorso in attesa di posti letto…e non solo per il Covid. I medici e gli infermieri fanno del loro meglio per assistere tutti, ma è davvero difficile in questa situazione. Siamo stati definiti eroi all’inizio della pandemia ma io personalmente non mi sono mai sentita tale…e neppure i miei colleghi credo…E’ il nostro lavoro, sempre. Quando i turni non finiscono mai, quando portiamo a casa la bottiglietta dell’acqua ancora piena, quando per la stanchezza ci addormentiamo su una sedia, quando ci togliamo dopo ore la mascherina e finalmente respiriamo o dopo che togliamo la tuta di plastica e sembra che abbiamo fatto la doccia vestiti, quando passiamo sabati, domeniche, Natale e Pasqua in ospedale anziché con la nostra famiglia, quando dopo una giornata intensa di lavoro abbiamo aiutato decine di persone e non riceviamo neppure un grazie…tutti i giorni, per questo, gli infermieri sono eroi! Non solo in emergenza! In realtà quando ti trovi ad assistere persone che lottano per la vita, bambini molto malati che incoraggiano i genitori disperati, mamme e papà disposti a mille sacrifici per dare un po’ di sollievo ai propri figli…capisci che gli eroi veri degli ospedali sono altri…non gli infermieri!

lunedì 7 febbraio 2022

SALUTE - Intervista a Silvia Sini, medico dell'ospedale di Varese

Intervista realizzata da Alessio Mariani, 2A

    •    In ospedale arrivano persone di tutte le età?
 Sì, la maggior parte delle persone sono anziani, però arrivano anche bambini con patologie meno gravi.

    •    Qual è il tuo compito?
Io sono uno specialista in anestesia e rianimazione perciò mi occupo di praticare l’anestesia ai pazienti che si sottopongono agli interventi chirurgici e supporto le funzioni vitali dei pazienti che vengono ricoverati in rianimazione.

    •    Perché hai deciso di fare il medico?
Ho deciso di fare il medico perché fin da bambina mi è sempre interessato tutto ciò che riguardava la scienza e la medicina.

    •    Qual’è stato il tuo percorso di studi?
Il mio percorso di studi è consistito in 6 anni di università e 4 anni di scuola di specializzazione.

    •    Perché hai deciso di fare proprio l’anestesista rianimatore?
Ho deciso di fare l’anestesista rianimatore dopo l’inizio della mia esperienza come volontaria in un’associazione che si occupava di soccorso extra ospedaliero(S.O.S Olgiate).

    •    Ti è mai capitato di dover comunicare a un paziente o ai suoi familiari che non poteva sopravvivere? Come ti sei sentita in quel momento?
Purtroppo sì, è sempre molto difficile dare questa notizia, si cerca di non nascondere la realtà ma li si incoraggia a non perdere mai la speranza.

    •    Cosa non ti piace del tuo lavoro?
E’ fondamentale che questo lavoro piaccia per poterlo fare al meglio, a volte risulta pesante dover lavorare di notte o nei giorni di festa perché vorrei stare con la mia famiglia.

CULTURA - Intervista a Bruno Maino sul suo viaggio in Perù

INTERVISTA REALIZZATA DA FRANCESCO MAINO, 2A 

•    Chi sei?
Sono Bruno Maino e nel 1999 sono stato in Perù per
1 mese con 8 miei amici.

•    Perché hai voluto intraprendere questo viaggio?
Io e i miei amici dopo anni di volontariato in Italia volevamo fare un viaggio equo-solidale in cui sostenere e conoscere la popolazione locale: abbiamo quindi scelto in tutte le mete visitate di alloggiare presso famiglie del luogo e muoverci con i mezzi di trasporto usati dai peruviani.
Questa scelta ci ha permesso di conoscere da dentro la cultura, le tradizioni, gli usi locali e sostenere con il nostro contributo economico famiglie incontrate.
In questa esperienza abbiamo avuto la possibilità di conoscere alcuni progetti rivolte alle fasce più deboli della popolazione.
Mi ricordo ad esempio che abbiamo conosciuto   una signora italiana che abitava a Cusco: aiutava le nina de rua ovvero le bambine di strada, bambine vendute dalla famiglia, con la speranza e la promessa di chi le acquistava (spesso non mantenuta ) di farle studiare.
    
•    Nel mese di permanenza in Perù quali sono state le mete che ti hanno maggiormente colpito?
(Lima)
Dopo circa 15 ore di volo siamo arrivati a Lima (capitale del Perù) ci siamo recati alla casa di un ragazzo del posto che per 15 giorni ci ha ospitato facendoci da guida.
Abbiamo visitato la città vecchia, ma la cosa che mi ha impressionato di più sono stati i barrios, quartieri poveri della città.
Il barrio più povero che abbiamo visitato aveva case fatte di cartone e legno e le uniche piante che si vedevano erano quelle che segnavano i luoghi in cui precedentemente si trovava una latrina: i bagni in quei quartieri erano dei semplici buchi nella sabbia.   

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(Machu Picchu)
Abbiamo visitato la zona attorno a Machu Picchu, prima la città di Cusco a 3400m, poi con il treno siamo andati a Aguas Calientes, cittadina sotto Machu Picchu: il giorno seguente al nostro arrivo siamo saliti a piedi a Machu Picchu.
A Machu Picchu abbiamo visitato le vecchie rovine che si trovano lì da circa 600 anni, era tutto a cielo aperto. Anche se ci potevamo fare accompagnare da una guida noi abbiamo deciso di vivere questa esperienza da soli facendoci catturare dalla grandezza e dalla bellezza delle antiche rovine.
Abbiamo visitato anche altri siti archeologici più piccoli, sono rimasto molto colpito dal sistema di distribuzione dell’acqua di queste città con acquedotti che correvano a cielo aperto e arrivavano a ogni casa come ai giorni nostri.

         (Lago Titicaca)
Dopo essere stati a Machu Picchu, ci siamo recati al lago Titicaca che si trova a 4000m e non si ghiaccia perchè è troppo grande.
Sull’isola di Taquile al centro del  lago vivono i pastori di alpaca, un animale sacro per gli inca ma sacro anche per le popolazioni di oggi.
Abbiamo dormito nelle case dei pastori fatte di argilla eni pastori ci hanno fatto assaggiare un piatto tipico del posto, il cuy ovvero un topo peruviano.



(Il canyon del Colca e le figure aliene)
Prima di tornare a casa siamo andati a vedere il canyon del Colca (foto in basso), il canyon più profondo del continente  americano alto 3400m.
Nelle vicinanze di Nazca grazie a una gita in barca  abbiamo visto una delle enormi e famose figure disegnate sul terreno, alcuni dicono che sono stati gli alieni a disegnarli come segno di maledizione ma gli storici li attribuiscono alle credenze di civiltà preincaiche. 

disegno nella sabbia.

venerdì 4 febbraio 2022

SPORT - Il razzismo si combatte anche con lo sport

di Simone Bellemo e Francesco Maino

Da sempre lo sport è stato un elemento unificatore: partendo dalle origini ricordiamo come le Olimpiadi nell’antica Grecia rappresentassero uno dei pochi momenti di tregua imposta a qualsiasi conflitto.
Il triste legame tra sport e razzismo porrà invece le sue basi solo nel XIX secolo, in particolare a causa dell’imperialismo britannico: il “fardello dell’uomo bianco,” ovvero il diritto e il dovere di civilizzare le popolazioni “primitive” in nome della superiorità razziale dei bianchi, fu applicato anche attraverso lo sport.

Alcuni casi
Da Olimpia 1896, anno della prima Olimpiade fino alla nascita delle paraolimpiadi per disabili, molte persone hanno guardato allo sport per migliorare almeno un po’ il nostro mondo e diffondere principi come tolleranza, rispetto, uguaglianza e integrazione. Tantissime sono le storie individuali di uomini e donne, famosi e non, che grazie all’impegno agonistico hanno vinto vere e proprie battaglie personali. Ma da sempre c’è anche qualcuno che non la pensa così. A volte questo qualcuno può essere definito e etichettato come razzista..

1) Durante Vitoria Guimaraes-Porto, il calciatore degli ospiti è stato continuamente bersagliato dai tifosi di casa e dopo aver segnato, ha reagito con gestacci verso il pubblico ed è stato sanzionato dall'arbitro. Poi ha abbandonato il terreno di gioco. le sue parole sono state: “Non mi ha difeso e mi ha dato il giallo perché difendo il colore della mia pelle. Spero di non incontrarlo più su un campo, è una vergogna”

 (Moussa Marega)

2)Jackie Robinson: il primo nero a diventare giocatore di baseball professionistico americano nel 1946. Minacciato di morte, insultato dai tifosi anche da quelli della sua squadra, a volte, preso letteralmente a palate dai lanciatori, non si lamentò mai, non fece mai una polemica. Sapeva che avrebbe dovuto semplicemente essere il più bravo di tutti, il baseball ha smesso di essere un gioco per soli bianchi grazie al suo coraggio e alla sua dignità.

3)Tiger Woods è diventato il più amato campione di golf, la disciplina forse più elitaria e per certi versi snobistica della scena statunitense. Anche in altri Paesi ci sono esempi: In Sudafrica il tramonto dell’apartheid è passato anche dallo sport: se un tempo il calcio era riservato ai neri e il rugby ai bianchi, ora le rispettive nazionali sono decisamente “miste”. Nei pacchetti di mischia dei gloriosi Springboks sono entrati i primi colossi d’ebano, mentre la Coppa d’Africa di calcio, vinta davanti al tifoso speciale Nelson Mandela, è stata una festa popolare indimenticabile di riconciliazione nazionale.

(Tiger Woods)

Tiger Woods si sta riprendendo, l'intervento è riuscito


Le Olimpiadi naziste di Berlino, 1936
Molteplici sono gli episodi e i protagonisti che si sono susseguiti in tutto questo. Partiamo nel segno delle Olimpiadi di Berlino del 1936: Adolf Hitler non ha lasciato nulla di intentato nel suo piano di valorizzazione e promozione della superiorità della sua Germania. L’evento in questione può diventare un’enorme cassa di risonanza per propagandare la potenza della grande Germania nazista e la superiorità della razza ariana oltre che nella vita quotidiana anche nello sport.

Un uomo nero però rovina tutti i piani del Fùhrer. Si tratta di Jesse Owens, l’uomo più veloce del mondo che in quell’olimpiade vince e si porta a casa ben quattro medaglie d’oro. Owens diventa così un vero e proprio simbolo dell’antirazzismo e la dimostrazione vivente della demenzialità di certe teorie. 

Chi era Jesse Owens: tutto sull'atleta afroamericano | Sport Magazine(Jesse Owens)

Secondo alcuni la lotta al razzismo nello sport sta facendo passi indietro, in effetti ultimamente cori e insulti verso giocatori di colore sono sempre più frequenti.
Però in alcuni ambiti sportivi ad esempio nella serie A tutte le 20 squadre hanno aderito ad un progetto di eliminazione del razzismo dagli stadi.
 

SPORT - Intervista doppia su doping e ciclismo

di Simone Bellemo e Alessandro Mascellani

Abbiamo intervstato i nostri genitori che ci hanno raccontato la loro esperienza di sportivi:

1) Chi siete?

Andrea: Sono Andrea Mascellani, ho 40 anni e lavoro nell'informatica. In adolescenza, appassionato di ciclismo, ho corso due anni come allievo, due anni come juniores per poi smettere di correre e per due anni ho fatto il direttore sportivo di una squadra di giovanissimi, quindi ragazzi che avevano circa l'età che voi avete oggi.

Emanuele: Sono Emanuele Bellemo ho 44 anni e lavoro in un supermercato svizzero. Ho corso sei anni nei giovanissimi, due anni negli esordienti, due anni come allievo, due anni da juniores, e ho corso quattro anni negli under 23 (dilettanti)
 
2) Quando sei andato per la prima volta in bici?

Andrea: Che io ricordi, un po' come tutti ho imparato tra i 4 e i 6 anni, poi si è sviluppata la passione e la voglia agonistica che in adolescenza mi ha portato a correre.

Emanuele: Ho imparato ad andare in bici all’età di 4 anni e ho iniziato in modo serio a 6 anni

3) Cosa sognavi di diventare da bambino?

Andrea: In realtà non ho mai avuto ambizioni particolari sul ciclismo, sapevo che avrei corso solo per passione finché avrei potuto.

Emanuele: Da bambino volevo diventare come prima scelta un cuoco e nel caso la seconda opzione era il geometra

4) Cosa ti ricordi della tua prima corsa?

Andrea: Ricordo che tutte le buone regole per la preparazione erano saltate: la notte prima ero agitatissimo e non ho dormito. Presentatomi stremato alla gara, ho anche tentato una fuga nei primi Km, ma poi tutti i nodi vengono al pettine: dopo un terzo di gara mi sono dovuto ritirare.

Emanuele: Mi ricordo che non ero particolarmente stabile visto che una bici normale e una da corsa non sono molto simili e arrivai ultimo dicendo a mio nonno che non era andata malissimo perché secondo me ero arrivato quinto ma lui mi fece notare che eravamo in 5

5) Come ti comportavi durante le corse?  

Andrea: L'unico modo che avevo per correre era con determinazione: non avevo grandi mezzi e quindi dovevo dare il 100% anche solo per stare in gruppo o per piccoli exploit.

Emanuele: Da piccolo pedalavo più forte che potevo e c’era poco gioco di squadra, invece, crescendo di età e di categoria  in base  al percorso e alle qualità dei componenti della squadra  si cercavano di esaltare quelle del capitano di giornata.                                                                                               

6) Quando hai deciso di dedicarti completamente al ciclismo?

Andrea: Intorno ai 13-14 anni

Emanuele: Mi sono sempre dedicato al ciclismo e dopo aver ultimato gli studi a 16 anni, fino a 21 anni è stata la mia attività principale e remunerata 

7) Perché hai deciso di smettere di correre?

Andrea: Due le ragioni principali: non avevo delle prestazioni competitive e dalla categoria dopo la mia sarebbe praticamente stato obbligatorio fare uso di sostanze dopanti

Emanuele: Dopo tanti anni mi ero un po’ stancato e nonostante ottenessi buoni risultati per poter passare professionista bisognava usare troppe sostanze dopanti
 
8) Hai mai usato sostanze dopanti? Cosa ne pensi?

Andrea: Io e la mia squadra non abbiamo mai usato sostanze dopanti. Iniziavamo la stagione con una lezione teorica sul tema, spiegando, per ogni sostanza di moda in quel periodo, i pro e i contro. È un approccio che ho tenuto anche da direttore sportivo in modo che ciascuno fosse consapevole di cosa volevamo evitare. Purtroppo sappiamo bene che nell'ambiente, specie in quegli anni, dominava un pensiero diverso. E se questo, tra adulti, può essere rinviato a scellerate scelte personali, suscita profonda amarezza la constatazione che in alcuni casi queste scelte venivano fatte a discapito della salute di ragazzi in crescita.

Emanuele: Nonostante pensassi fosse una scelta sbagliata una volta passato nella categoria under23 al secondo anno per poter essere allo stesso livello di tutti gli altri ho iniziato a usare  sostanze dopanti.
In quel periodo era prassi comune di tutte le società sportive di un certo livello.

9) Cosa pensi di un ciclista che si dopa?

Andrea: Se è un adulto, penso che stia facendo una scelta sbagliata ma che è libero di farla, sacrificando la propria salute e adattandosi ad un contesto dove tutti lo fanno e puoi solo decidere se adattarti a questa regola non scritta oppure smettere. Se è un ragazzo, penso si stia rovinando la vita per sempre perché tutte le droghe portano dei danni irreversibili alla salute, soprattutto durante la crescita, e nessun ragazzo dovrebbe essere messo nelle condizioni di farsi un male così profondo e così irrecuperabile in un’età in cui ancora si sta formando una visione della vita.

Emanuele: Nonostante la mia esperienza personale di cui ho già parlato, ritengo che sia un modo sbagliato di fare sport perché si rischia di andare incontro a problemi di salute gravi ed è il motivo principale per cui ho deciso di abbandonare questa carriera.

10) Hai mai voluto provare a doparti?

Andrea: No, nonostante avessi delle caratteristiche fisiche (valori del sangue) per cui avrei tratto il massimo beneficio da questo (e mi è stato anche indicato), non ho mai voluto mettere il valore di una gara ciclistica al pari del valore della mia vita

Emanuele: Si nonostante sapessi di fare una scelta sbagliata, l'ho provato.


 Andrea Mascellani

Emanuele Bellemo                                              

CULTURA - Marta Rabbi - La bibliotecaria di Beregazzo con Figliaro

DI Elisa Bomba 2A

Lo scorso autunno ho intervistato Marta Rabbi che da un paio di anni svolge la professione di bibliotecaria presso la biblioteca del mio paese e ho scoperto alcune cose interessanti su di lei.
Marta  ha 28 anni, ha frequentato il liceo classico ed è successivamente andata all’università, ma non ha terminato gli studi.
Il suo Comune le ha dato dato la possibilità di fare il Servizio Civile (cioè lavorare per un periodo in Comune, seguendo alcuni progetti), e Marta ha accettato con entusiasmo.
Dopo alcune attività le hanno offerto di lavorare in biblioteca.
Lei ha immediatamente accettato e ha scoperto quanto fosse profonda la sua passione per la lettura, infatti anche da piccola le piaceva molto leggere.
Alla fine ha deciso di farne una professione e dopo un test, un tirocinio e un corso di aggiornamento ha coronato il suo sogno, quello di essere una bibliotecaria.
Così dopo essere stata spostata da una biblioteca all’altra, è arrivata nel nostro Comune.
Da piccola, quando frequentava le elementari non le piaceva leggere, così sua mamma le ha proposto dei classici e da allora ha cominciato ad appassionarsi e poi a scegliere lei i suoi libri.
Ha scoperto che le piacevano soprattutto gli horror, per esempio la collana “piccoli brividi”, ma il libro che le piaceva di più in assoluto era “L’isola del tesoro”, un vero classico.
Marta adesso legge ancora gli horror ma ha scoperto che le appassionano anche i libri sulla montagna e le storie di alcuni alpinisti che hanno raccontato sulla carta le proprie imprese.


 

mercoledì 2 febbraio 2022

Giornata della Memoria - 27/01/2022

di Alessandro Mascellani 2A

Shemà

"Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo

che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa e andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi."

Questo brano, tratto dal libro Se questo è un uomo di Primo Levi e intitolato Shemà (che in ebraico significa "ascolta"), descrive le condizioni degli ebrei nei lager nazisti e ci invita a ricordare questo genocidio attuato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti di ebrei d'Europa (i ⅔ del totale), gruppi etnici come i Rom e i Sinti, gruppi religiosi come Testimoni di Geova e Pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di handicap, usando come movente la "difesa della razza ariana".

Perché viene celebrata il 27 Gennaio

La Giornata della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell'Olocausto (o Shoah, dall'ebraico "catastrofe,  distruzione"). Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa, ovvero le truppe dell'URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, conosciuta meglio come Unione Sovietica), liberarono il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista. Solo in questo campo vennero uccisi 1,5 MILIONI di deportati tramite fucilazione e camere a gas.

 

I numeri

Tra il 1933 (anno dell'ascesa al potere del regime nazista) e il 1945 (anno in cui finì la Seconda Guerra Mondiale) furono uccisi attorno ai 6 MILIONI di ebrei. 4 MILIONI furono i Polacchi, Ucraini e Bielorussi. 3 MILIONI i prigionieri di guerra sovietici. 1,5 MILIONI i politici dissidenti. Il totale si aggira attorno ai 15 MILIONI.

L'Olocausto in Italia

Il 28 ottobre 1922, con la marcia su Roma, sale al potere il regime fascista con a capo Benito Mussolini. L'11 novembre 1938, seguendo quanto fatto in Germania nel 1935 con le Leggi di Norimberga, il Gran Consiglio del Fascismo emanò le LEGGI RAZZIALI che, fra l'altro, escludevano gli ebrei dalle scuole e da molte professioni.



"Occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime." (Tratto da un discorso di Mussolini).

La deportazione e lo sterminio iniziarono dopo il settembre del 1943, quando in seguito al crollo del regime fascista e all'armistizio Badoglio (8 settembre) i tedeschi occuparono l'Italia settentrionale. Le autorità della Repubblica Sociale Italiana (conosciuta meglio come Repubblica di Salò) collaborarono alla deportazione. Solo durante il rastrellamento del ghetto di Roma furono catturate oltre 1.000 persone. I campi di Fossoli, in provincia di Modena, e di San Sabba, a Trieste, divennero luoghi di transito verso i campi dell'Europa orientale, dove trovarono la morte circa 8.000 ebrei italiani.

Sopravvissuti 

Molte delle persone sopravvissute (e non) ai campi di concentramento raccontarono la loro storia, tra cui Anna Frank, una ragazza ebrea tedesca che fuggì in Olanda assieme alla sua famiglia e che raccontò la sua storia in un diario che le venne regalato all'età di 13 anni. Purtroppo Anna non sopravvisse ai campi (morì di tifo nel 1945), ma suo padre (che è sopravvissuto) fece pubblicare il diario, che è ancora oggi uno dei principali testi che trattano questo tema.

Anche in Italia ci furono persone che raccontarono e raccontano ancora oggi dell'orrore dei campi di concentramento. Tra questi ci sono Primo Levi, che raccontò della condizione degli ebrei nei campi nel libro Se questo è un uomo (di cui abbiamo letto sopra un estratto), e Liliana Segre, che scrisse il libro Finché la mia stella brillerà e racconta la sua esperienza anche attraverso interviste e discorsi. Nel 2018 Liliana è stata nominata Senatrice a vita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.


L'attività del CCR sulla Giornata della Memoria

Noi di 2A, in quanto membri del CCR, abbiamo deciso di andare a coppie nelle classi di tutta la scuola per ricordare la Giornata della Memoria. Innanzitutto Mercoledì 26 gennaio abbiamo, con la professoressa Ferrario (che ci insegna Italiano, Storia e Geografia), parlato di cos'è la Giornata della Memoria. Successivamente abbiamo letto alcune delle più significative poesie che trattano questo tema. Poi ogni coppia ha scelto una poesia e si è accordata che un componente della coppia avrebbe letto l'introduzione e l'altro la poesia. Il giorno dopo (appunto il 27 gennaio) abbiamo ripassato quello che dovevamo dire e siamo andati nelle classi e in tutte, chi più chi meno, i nostri compagni sono stati attenti.

Conclusione

Concludo dicendo che l'Olocausto è stata una delle peggiori cose fatte dell'umanità e, come scritto sul diario di Anna Frank:
"Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo"