mercoledì 5 gennaio 2022

RACCONTI D'AVVENTURA

UN DUPLICE BOTTINO

Di Sofia Crepaldi 2B

Il mio nome è Francis Drake e sto per raccontarvi perchè la regina inglese mi nominò cavaliere.
Eravamo in mare già da almeno due settimane alla ricerca del tesoro sommerso.
Nel tragitto per arrivare agli scogli avevamo incontrato un galeone presumibilmente spagnolo; non l’abbiamo attaccato perché trasportava solamente merci che a noi non sarebbero mai servite.
Avevamo un solo obiettivo: trovare il magnifico bottino; c’eravamo quasi, i mappografi nella stiva avevano ristretto di molto il campo in una zona scogliera a nord-ovest. Ero sulla poppa a guardare il tramonto colora di arancione il cielo e le acque del mare aperto diventare sempre più scure, quando mi arrivò la notizia che avrebbe stravolto la mia vita.
Henry, un pirata alto e smilzo, con una giacchetta color marroncino, una bandana color rosso per tenere indietro i capelli e bene in vista sui due lobi due grandi orecchini a penzoloni color nero con una croce (lui credeva che questo lo avrebbe salvato dall’annegare o dall’essere mangiato dagli squali), mi disse che il luogo era stato trovato.
Fui invaso dalla felicità, ma non lo diedi a vedere neanche un po’ e con voce fredda e sicura chiesi: - Dove dobbiamo dirigerci?-.
Anche lui era rimasto impassibile, Henry mi era sempre piaciuto, aveva quella marcia in più che lo distingue dagli altri, inoltre mi è sempre stato fedele dicendomi chi tramava contro di me e chi invece mi onorava.
- Venti leghe a nord-ovest, il vento ci è favorevole, quindi meglio partire subito - mi rispose con la sua voce profonda e calma.
Diedi subito l’ordine che mi aveva suggerito Henry e dopo poco avevo già il vento che mi soffiava in faccia, raffreddandosi la punta del naso.
Mi accorsi che il sole era tramontato, quindi mi dileguati nella mia cabina pensando a quello che avremmo fatto domani per recuperare il tesoro nelle profondità dell’oceano; cercavo la giusta tattica, il modo migliore per prendere la mercanzia e volare sul mare evitando velieri per non affondare o perdere alcuni miei marinai.
Pensai a quello che avrei fatto dopo con tutta quella ricchezza, non avrei avuto più bisogno di andare in giro per il mondo in cerca di piccoli spiccioli che poi avrei usato in una settimana; però stare in una casa con il camino acceso a guardare fuori dalla finestra la neve che cade mi sembrava estraneo, strano, una cosa che non faceva per me.
In quel mare di pensieri mi addormentai con gli angoli della bocca rivolti verso l’alto e la faccia rilassata come un bimbo che fa un bel sogno.
Il giorno dopo ci ritrovammo davanti ad una grande scogliera.
- Dobbiamo entrare da lì - disse una voce alle mie spalle.
Era Henry, stava indicando un piccolo buco da cui sarebbe potuta entrare non più di una persona alla volta.
- Prepara venti marinai, andremo a piedi -.
Harry annuì con la testa e andò a svolgere il compito da me richiesto.
Mezz’ora dopo eravamo sulla spiaggia davanti all’entrata che ci avrebbe condotto al tesoro; nel tempo in cui Henry preparava gli uomini io andai dai mappografi e chiesi come sarebbe stato l’interno delle grotte, che insidie avremmo potuto trovare.
Uno mi rispose che avrebbe dovuto esserci una sola galleria che poi ci avrebbe condotto ad uno spazio circolare con una pozza d’acqua nella quale c’era il tesoro.
Un altro aggiunse che non avremmo potuto usare gli esplosivi e nessuna arma da fuoco perché la galleria ci portava sempre più in profondità e se anche solo una roccia si fosse crepata le acque del mare avrebbero invaso tutto e saremmo morti annegati.
Il rumore della sabbia calpestata dai marinai mi riportò nel presente.
Entrai io per primo seguito da Henry e poi dagli altri.
La galleria era esattamente come ce la si immagina: buia, umida, sembrava quasi senza fine.
Rimase così per almeno un quarto di miglio, poi iniziò a vedersi una luce bluastra che si avvicinava sempre di più fino a ritrovarsi nello spazio circolare descritto dai mappografi.
Sinceramente me lo immaginavo diversamente: la luce bluastra arrivava da terra dove c’era l’acqua cristallina, ipnotizzante, così tanto bella che avrei potuto guardarla tutto il giorno senza mai stancarmi; aveva un colore blu, però allo stesso tempo sembrava azzurrina… Dopo un po’ che la si guardava diventava inquietante perché non si riusciva a vedere il fondo e la vista si perdeva in un “muro” quasi nero che faceva diventare l’atmosfera tetra e animata da squali, da morte.
Le pareti erano di colore grigio, frastagliate al tatto, queste, non so perché, mi piacevano; questa “grotta” era il luogo ideale per nascondere un tesoro, se avessi potuto conoscere il proprietario mi sarei complimentato con lui per la perfetta edificazione.
Quello spazio metteva soggezione come se tu stessi per fare un atto orribile, però al contempo invitava a farlo e così la tua mente andava in confusione, non sapendo più quale fosse il vero obiettivo.
La parola obbiettivo mi riportò alla realtà da quello stato di pazzia, mi girai verso i miei marinai, ne scelsi due robusti e forti che avrebbero potuto prendere il forziere e li feci calare con delle corde legate alla vita nelle acque scure.
Il tesoro sarebbe dovuto essere incastrato in una delle rocce sottostanti; dopo un paio di immersioni durate poco più di trenta secondi i marinai dissero che non c’era nulla.
Non credetti loro così scendemmo io e Henry; per non rimanere bagnati dopo l’immersione tolsi il mio lungo mantello e i miei stivali di cuoio neri.
Mi immersi e mi infilai sotto un piccolo strato di roccia, lì sotto c’erano molti massi ancorati gli uni agli altri, li tastai uno ad uno, però erano tutti dello stesso materiale, non c’era nessun forziere così risaliti in superficie.
Lì c’era Henry con una faccia arrabbiata e un pezzo di stoffa in mano.
- Sono arrivati prima gli Spagnoli - mi informò.
Uscii velocemente dall’acqua e mi vestii, diedi l’ordine di tornare indietro e la marcia iniziò molto più frettolosa rispetto a quella d’andata.
- Devono essere arrivati poco prima di noi e sono stati molto più veloci - mi sussurrò Harry.
- Come fai a saperlo? - ringhiò in preda ad un attacco di rabbia.
- Di notte la corrente del mare aperto è molto forte e questo piccolo pezzo di stoffa sarebbe già stato trasportato via -.
Annuii e sospirai quasi ridendo perché l’intelligenza di Henry stava emergendo ancora e questa cosa era abbastanza rassicurante.
La luce della spiaggia era vicina, mancava poco e noi avremmo potuto distruggere gli Spagnoli e prendere quello che ci avevano rubato.
Una volta sulla spiaggia chiesi ai marinai della nave se avessero visto un galeone spagnolo e questi annuirono: Henry allora aveva ragione.
Accelerai il passo e poco dopo mi ritrovai sul ponte del mio veliero, presi il binocolo e guardai in tutte le direzioni alla ricerca degli Spagnoli…trovati!
Andavano verso sud, avevamo il vento a favore per raggiungerli.
Con tutte le vele spiegate ci dirigemmo all’inseguimento, dieci minuti dopo eravamo lì, fianco a fianco: i cannoni che avevamo preparato servirono adesso.
Bombardammo la stiva facendo affondare lentamente la nave.
Mettemmo una passerella per salire sull’altra nave a prendere il tesoro e con le armi sguainate iniziammo a sparare in giro, avvicinandoci sempre di più all’albero maestro dove c’erano grossi bancali. Dei marinai erano in difesa ed iniziarono a sparare; le mie munizioni stavano finendo quindi avrei dovuto usare la spada. Ero abbastanza vicino da poter disarmare alcuni Spagnoli ed Henry riuscì a metterli al tappeto con una bastonata in testa.
Finalmente i marinai erano scappati oppure svenuti, così mi avvicinai ai bancali e vidi scintillare diamanti e monete del bottino; ordinai ai miei uomini di spostarlo sul nostro galeone il più in fretta possibile perché la nave stava affondando.
Non dissi nulla rispetto al fatto di non rubare niente perché sapevano bene che il bottino sarebbe poi stato diviso tra tutti noi e se avessi scoperto che qualcuno aveva rubato qualcosa la punizione sarebbe stata la passerella.
Mi ritirai in coperta pensando a quello che avrei fatto con quella ricchezza…
Avrei voluto rientrare in patria però non lo sapevo bene perché ero stato molto tempo in mare e la terraferma sembrava troppo sofisticata per me, inoltre ero ricercato e avrei dovuto chiedere alla regina la grazia.
Ero in coperta quando mi venne in mente un’idea geniale!
Per farmi graziare dalla regina le avrei inviato una parte del tesoro!
Passai davanti al mio specchio e vidi il mio riflesso: un uomo abbastanza giovane, sulla trentina, con i capelli corti neri e baffetti a punta, anch’essi neri.
I miei occhi non erano felici, nel senso che erano gli occhi di chi deve guidare un gruppo di furfanti per mare. Non avevo la barba ed il mio collo sbucava dal colletto della giacca a strisce blu e bianche, coperta in parte dal lungo mantello nero e rosso di velluto; me lo ero potuto permettere grazie a un grande colpo nei pressi dell’Italia.
I pantaloni avrebbero dovuto essere bianchi però, per la loro lunga vita, ormai erano grigi e a macchie anche nere; i miei piedi erano coperti da stivali di cuoio nero molto protettivo e che evitano il congelamento.
Ero il tipico corsaro, alto e smilzo così da poter essere agile nella lotta e incutere paura al nemico.
Ripensai a quando ero piccolo, in Inghilterra, a quando, in inverno, mi mettevo vicino al camino per leggere un libro è così mi venne nostalgia: non c’erano dubbi, il mare mi piaceva, però dovevo tornare a casa.
Così presi carta e penna d’oca e iniziai a scrivere una lettera alla regina in cui le dicevo che ero cambiato e che per dimostrarglielo le avrei inviato un ricco bottino che avevo ricavato dalla mia ultima “avventura”. Firmai con il mio nome, legai la lettera alla zampa di un piccione viaggiatore e lo liberai nell’aria.
E così eccomi qui, un mese dopo, nella mia patria con la nomina di cavaliere tra le mani.



martedì 4 gennaio 2022

RACCONTI D'AVVENTURA.

 HENRY MORGAN: IL TRABICCOLO CHE CAPITANAI SI CHIAMAVA “BLANK”

di SAMUELE BROGNARO 2B

Ricordo che era un pomeriggio caldissimo. Stavo nella mia cabina seduto sulla sedia di mogano vicino alla finestra. Ogni tanto sbirciavo fuori dalle finestre che davano sul ponte. I miei marinai erano molto affaticati e sudati. Non so perché questo fatto mi fece sorridere. Lo so, forse ero troppo crudele e spietato, ma non avevo scelta in merito, c’era poco rispetto nei miei confronti e questo mi infastidiva.
In quella traversata stavamo trasportando un carico di oro che avevamo rubato. Molto probabilmente qualcuno ci era già alle calcagna, ma non potevamo immaginarcelo.
La nave che stavo capitanando era un trabiccolo ambulante: il timone era completamente marcio, le vele strappate, le tavole spezzate e chi ne ha più ne metta.
La sera mi preparai per bene per andare in sottocoperta a cenare. Mi ritenevo e mi ritengo un uomo molto raffinato con un irrefrenabile bisogno di mettersi in mostra. Quindi pettinai i miei fantastici baffi e controllai i capelli che fortunatamente erano in ordine. Riposi gli abiti sporchi nella cassa in fondo alla cabina e poi presi una giubba ed un mantello dal mio armadietto. Dopo un ultimo sguardo al mio abbigliamento, decisi di dirigermi in sottocoperta. Nonostante la mia nave fosse completamente decrepita, apprezzavo la moltitudine di passaggi segreti. Normalmente andavo in sottocoperta tramite questi, ma non quando ero vestito bene. In quel caso passavo dal ponte e mi pavoneggiavo. Ogni volta quei marinai mi guardavano con odio ma a me non importava. L’importante per me, era mangiare la porchetta sotto sale: una delizia. Quella sera, però, sarebbe andata diversamente.
Non ebbi neanche il tempo di mettere in bocca il primo boccone che qualcosa di grosso si sfracellò contro la nave. Probabilmente si trattava di una palla di cannone. Infatti non ci misi molto a notare quel buco in fondo alla sala. La nave non imbarcava acqua ma… ci avevano raggiunti!! La nave andava messa sulla difensiva. Balzai in piedi e, correndo, raggiunsi la mia cabina. Dalla finestra, la vidi: era grande due volte la mia. I marinai (forse più di cento) avevano ciascuno dei moschetti e sotto al loro controllo una bombarda a testa. Per la sua grandezza, dedussi che era meno agile rispetto ad una nave normale quindi, mentre preparavano i cannoni, avremmo potuto distrarli con una virata improvvisa verso ovest. L’unico pericolo potevano essere le montagne marine. E così feci: aprii la botola che c’era sopra alla mia testa gridando al timoniere di virare verso ovest senza essere delicato. Gli altri erano già riuniti sul ponte. In quell’occasione avevano dimostrato una grande intelligenza nell’aver già preparato i cannoni ed i moschetti, e stavano anche orientando le vele in direzione di vento. Ma la situazione che credevo ottimale mutò in un istante: il timoniere lanciò un grido di disperazione perché il timone era bloccato. I nostri inseguitori ci stavano sparando pallottole a raffica. Saremmo stati spacciati se non avessimo virato. Fortunatamente, un’idea mi balenò in testa, accendendosi. Potevo usare le vele direzionali per far virare la nave. Non  sarebbe stata la stessa cosa, ma la manovra li avrebbe disorientati. Infatti ci persero un attimo di vista e questo bastò per noi a sferrare l’attacco. I cannoni di sottocoperta vennero azionati provocando un frastuono ed un vento terribile. Poi il sibilo d’aria mutò in un frastuono fortissimo. La nave nemica era stata trafitta da venti palle di piombo. I suoi marinai smisero di fare fuoco ed andarono nel panico più totale. La loro nave stava affondando ed io sapevo di averla scampata. Ma poco dopo sentii un forte scricchiolio ed il rumore di tavole spezzate. Credevo che fosse un assestamento della nave e non ci pensai.  Iniziammo a festeggiare e poi corsi in sottocoperta per finire la porchetta. Ma come dice il detto: “Ride bene chi ride ultimo”, mi trovai l’acqua alle ginocchia.
Diamine! Ci avevano colpiti prima di affondare. Dovevo dare ordini in fretta. Dissi di preparare le scialuppe e chiesi a Jaksy di aiutarmi a salvare un po’ di oro. Riuscimmo a prendere trenta sacchetti di oro e di corsa saltammo sulle scialuppe. Ci calammo in mare e ci allontanammo. La nave affondò e noi la salutammo inchinandoci. Finito il saluto mi sedetti e mi guardai attorno. La notte era gelida ed il mare nero. Infine ordinai di cominciare a remare. Le scialuppe iniziarono a muoversi lentamente verso l’ignoto.


RACCONTI D'AVVENTURA

IL PIRATA DAL CUORE PERDUTO

di SOFIA SECRETI 2B
 
Sono il pirata Francis Drake e sto ammirando la mia ciurma all’opera con la nave, ma adesso vi racconto un po’ di me.
Ho sempre vissuto su una nave pirata fin da piccolo, visto che i miei genitori facevano parte della ciurma Aston.
Il mio aspetto non sembra quello di un pirata minaccioso, ma quello di un gentiluomo.
Passando al mio aspetto vero e proprio, ho gli occhi marroni e piccoli che sembrano tracciare una traiettoria ogni volta che avvistano qualcosa. Ho sopracciglia nere e sottili, un naso non molto pronunciato e baffi sottili quasi inesistenti. È da qui che nasce il mio soprannome “il senza barba”.
Una cosa a cui tengo tanto quanto l’oro sono i miei baffi e i capelli neri corvini, i baffi devono avere bordi ben definiti e con una lunghezza moderata. I capelli sono raccolti dietro al capo. Ho una corporatura longilinea e mani affusolate molto morbide al tatto.
Indosso sempre i guanti di pelle nera visto che le mie mani non mi piacciono.
Il mio vestiario giornaliero è formato da una giacca nera lucida massiccia, con dei foderi per le spade e le armi.
Ho più di cinquanta pantaloni dello stesso modello: lunghi, marroni e a zampa.
Per le occasioni indosso una pelliccia beige intorno al collo.
Tra le tante missioni che avevo compiuto (navi fantasma, isole infestate e attacchi vari), una ancora mi rimuginava nella testa, cioè la ricerca di mio padre.
Era da anni che lo cercavo con l’aiuto di mappe, diari, ma forse l’indomani l’avrei finalmente trovato. Le ricerche immense mi portavano tutte in un unico posto: "Vendelem" un paesino russo medievale.
Entrai da solo, a primo impatto mi sembrava grazioso, familiare e protettivo.
Erano immense le casette rosa pastello, gialle e bianche con infinite stradine.
La cosa che saltava all’occhio erano i balconcini rossi, decorati da ghirlande di ulivo.
Arrivai nell’unica piazza del paese.
Era di forma circolare con incisi sul pavimento di pietra i punti cardinali. Dopo averla girata tutta vidi una grande fontana adornata da fiori gialli. I fiori mi parevano papaveri. Poi mi sedetti sull’unica panchina a riflettere e iniziai a pensare.
Ripensandoci mi pareva familiare quella piazza.
Un colpo di fulmine si accese nella mente e subito iniziai a mettere insieme i pezzi.
“Ma certo!” esclamai, quella piazza era la perfetta ricostruzione in scala del progetto che feci con mio padre. Conservo ancora il modellino sulla mia nave .
Estrassi un pezzo di pergamena dalla tasca e iniziai a disegnare le case che avevamo assegnato ai parenti.
Se tutto combaciava, come pensavo, sarei presto arrivato da mio padre!
Iniziai a correre senza sosta, ma quando arrivai rimasi spiazzato, esclamai “ma certo! Papà adesso avrebbe centotre anni”.
Come ho fatto a non pensarci!?
Al posto della casa vidi una grande tomba, con tantissime dediche e una sua foto.
Una lacrima mi scese sul volto, appoggiai il viso accanto alla sua foto, felice di aver risolto la mia più grande missione.



RACCONTI D'AVVENTURA

L’AVVENTURA NELLA FORESTA

DI DANIEL MAURI 2B

Io sono Francis Drake, sono un pirata alto, robusto, coraggioso e quando devo fare qualcosa lo faccio. Sono vestito come un classico pirata: orecchini, cappotto con i bottoni, pantaloni larghi e scarpe nere. Un giorno io e la mia ciurma, composta da cinque uomini, abbiamo rapinato tre sfortunati. Peccato che loro ci inseguivano e quindi eravamo noi che dovevamo scappare!
Siccome avevo una nave nel porto vicino, avevamo preso quella e dopo trenta minuti avevamo raggiunto una delle isole più sperdute e pericolose dell’oceano Atlantico: l’isola di Anglorê.
Infatti era un’isola terribile: grande, puzzolente, disabitata e ricoperta da una impenetrabile foresta pluviale. Eravamo scesi in fretta e furia, correndo negli immensi lunghi tratti di foresta. Avevamo visto animali di tutti i colori e specie. Improvvisamente davanti a noi comparvero una decina di coccodrilli affamati: stavo quasi per svenire dalla paura! Non avevamo nessuno a cui chiedere aiuto e gli sforzi di combattimento con le spade non erano serviti a nulla. Successivamente mi ero ricordato che i tre poveretti ci stavano inseguendo e quindi prima o poi sarebbero arrivati sull’isola. Intanto noi ci eravamo nascosti da quei feroci rettili. Dopo due ore e mezza sbucarono dal fitto fogliame tre uomini e io con grande coraggio e cortesia avevo detto loro: “Aspettate un attimo! Io vi ridarò gli oggetti rubati e voi ci aiuterete ad uscire da questa terribile isola”. Accettarono volentieri e ci dissero che possedevano una mappa dell’isola di Anglorê che diceva che in essa si nascondeva un tesoro! Io basito avevo risposto: “Magnifico! Adesso sconfiggiamo i coccodrilli che ci vogliono uccidere e dopo cerchiamo il tesoro!”.
Correndo avevamo raggiunto lo stagno dei coccodrilli e con un breve scontro li avevamo uccisi, infilzando all’interno dei loro corpi le spade. I tre uomini ci avevano mostrato la mappa e avevamo iniziato a seguire il percorso indicato. Dovevamo correre altrimenti saremmo morti uccisi dai terribili animali e dovevamo attraversare un fiume fangoso. Dopo un bel po’ di tempo avevamo raggiunto un’imponente roccia, dove, secondo la mappa, doveva essere nascosto il tesoro. Avevamo spaccato la roccia utilizzando altre rocce di dimensioni mediocri e davanti a noi splendeva ora un tesoro dorato! Mentre lo stavo aprendo uscì una creatura che mai mi sarei aspettato: una anaconda lunga una dozzina di metri! Avevamo provato ad ucciderla, ma erano stati sforzi vani; avevamo provato a scappare, ma lei era sempre più veloce di noi; avevamo provato a nasconderci, ma lei ci aveva visto con la sua acuta vista. Non ci restava che attraversare il fiume, ma saremmo probabilmente morti divorati dai caimani con i denti aguzzi, il doppio dei nostri. L’avevamo fatto lo stesso e per miracolo il serpente non ci aveva più seguiti; dopo trenta battiti di ciglia avevamo raggiunto la nave.
Senza neanche esitare un secondo eravamo saliti e lo stesso tempo che avevamo impiegato per arrivare lo abbiamo impiegato anche per tornare al porto. C’eravamo divertiti in una maniera tale che eravamo diventati amici e avevamo deciso di scrivere un libro dove raccontavamo l’avventura compiuta. Il libro si intitola: “Francis Drake e la compagnia degli otto”.

RACCONTI DI AVVENTURA

LA MIA MORTE

DI ALESSANDRO MASCELLANI 2A

Sono (o, meglio, ero) il temutissimo pirata Edward Teach, ma forse voi mi conoscete meglio con il mio soprannome Barbanera. Molte se ne sono dette sulla mia vita, perciò ora vi racconterò della mia morte.
 Era il 3 maggio 1718. Stavamo inseguendo ormai da cinque giorni la nave del non troppo temuto pirata Barbabarba (chiamato così perché erano già stati presi tutti i colori delle barbe).
Appena svegliato andai verso la prua della nave per osservare l'alba. Il sole quasi mi accecava, ma riuscì sentire che si stava avvicinando un membro dell'equipaggio.
- Sa - disse - il sole mette in risalto il suo i suoi occhi blu e profondi come l'oceano.- 
Era John, il mio vice.- Grazie, John - dissi prima di tornare in cabina.
Il sole rifletteva sulla fibbia della mia cintura, e il riflesso lo colpiva in faccia non volevo certo rovinargli l'alba.
Sotto coperta scrissi un paio di pagine del mio diario, le ultime, ma venni bruscamente interrotto dall'urlo di John - Sta rallentando! Oggi è il giorno giusto! Tutti pronti all'arrembaggio!!! -. 
Mi preparai come un fulmine. Misi sotto al cappello nella barba dei pezzi di miccia per farmi avvolgere dal fumo e spaventare i nemici. Mi infilai gli stivali da arrembaggio: neri, lucidi e con le suole di metallo per spaventare i filibustieri con cui avevo che fare. 
Infilati nella fodera la spada con incise le lettere "E.T." (che non è un omaggio al famoso film di Spielberg ma sono le mie iniziali), nascosi sotto la giacca nera come la notte una pistola carica e ne diedi altre nove a Daniel, che me le avrebbe passate quando ne avessi avuto bisogno.
Appena abbandonammo la nave non perdemmo un minuto: ci lanciamo subito all'attacco dell'imbarcazione e ci mettemmo a combattere. Io, come mio solito, andai dritto dal capitano, che in questo caso era Barbabarba.  Appena lo vidi capì che, nonostante avesse paura, non si faceva influenzare da essa.
 Dopo qualche minuto di duello con la spada, feci finta di colpirlo alla spalla e appena mosse per parare il colpo lo trafissi all'addome. Cadde a terra, sembrava morto, ma appena mi girai per esultare assieme ai miei compagni, estrasse la pistola e mi sparò alla schiena, da vigliacco.
-Per mille sardine!- (non dissi proprio "per mille sardine", ma facciamo finta che sia andata così).  La mia camicia grigia (una volta bianca come il quarzo) si era ormai tinta di rosso. Il sangue che colava quasi si confondeva con le bretelle che erano dello stesso colore. Caddi a terra nel momento in cui il sangue macchiò i pantaloni larghi e neri come l'ebano. Le mie ultime parole furono -John, prendi tu il comando della nave: ti promuovo capitano-.
Durante il mio funerale i marinai buttarono il mio corpo senza vita in mare, nel bel mezzo del Mar dei Caraibi. Quello stesso mare che terrorizzai in vita, mi ospitò per sempre in morte.

RACCONTI D'AVVENTURA

L’ISOLA BUIA

DI NOEMI PONTARI 2A

Il piano era previsto per il giorno seguente.
Lo avevo organizzato nei minimi dettagli e ora, l'unica cosa che mancava era metterlo in atto.
La mattina dopo il tempo era sereno, il cielo azzurro pieno di soffici nuvole bianche e il mare era calmo, con la nave che ondeggiava al ritmo delle onde.
Ero nella mia camera a bermi un bicchiere di rum quando Harry mi chiamò: “Capitano Francis ci siamo!”.
Corsi subito fuori contento di quella bella notizia e davanti a me vidi il profilo dell'Isola Buia, la nostra meta, il luogo in cui avremmo rubato il più ricco tesoro di tutti i tempi.
Pian piano ci avvicinammo e man mano che lo facevamo il paesaggio cambiava.
Il mare divenne mosso e le onde, sempre più alte, sbattevano con forza contro la nave, il sole fu coperto da tantissime nuvole grigie e rabbiose e si alzò un forte vento che spinse l'imbarcazione da una parte all'altra.
Pensavo che non ce l'avremmo mai fatta, la tempesta era troppo potente da dominare, e non so come, ma per miracolo riuscimmo ad approdare sani e salvi sull'isola buia anche se con molta fatica.
Ero bagnato fradicio a causa di tutta la pioggia che cadde dal cielo e dagli schizzi gelidi delle onde che mi colpirono come pallottole, ma adesso che eravamo lì, stranamente, smise subito di piovere.
Prima di andare alla ricerca del tesoro però, decisi di cambiarmi e togliermi i vestiti bagnati.
Indossai un paio di stivali di pelle marroni, dei pantaloni grigi larghi, una camicia bianca con bottoni fatti di formaggio secco e un mantello rosso fuoco e infine in testa mi misi un grande cappello nero.
Poi io e la mia ciurma partimmo all'avventura.
L'isola era piena di promontori e di grandi alberi rigogliosi.
Per trovare il bottino bisognava percorrere uno stretto sentiero in salita, così ci incamminammo verso quella stradina.
Una volta arrivati in cima, davanti a noi ci spettava una grande torre fatta di pietra su cui sorgeva una piccola finestra.
Entrammo subito, io per primo, salimmo velocemente una scala a chiocciola di legno che sembrava molto antica e arrivammo davanti a un'enorme stanza.
“Il tesoro! Finalmente l'ho trovato!” esclamai pieno di gioia.
Mi buttai a capofitto dentro, seguito poi da tutta la mia ciurma.
Prendemmo di tutto: monete d'oro, diamanti, gioielli e molte altre ricchezze.
Riempimmo borse e borse, ci impossessammo di quante più cose potevamo, poi scendemmo e ritornammo alla nave.
I miei pirati misero sotto coperta il bottino e poi tutti insieme potemmo festeggiare, felici per la vittoria e per l'acquisto del ricco tesoro, con una bottiglia di rum!

RACCONTI D'AVVENTURA

BARBANERA

DI ALESSIO MARIANI 2A

Ciao, sono il fantasma del pirata Barbanera, colui che terrorizzò il Mar dei Caraibi alla fine del 1600.
Quando ero ancora in vita mi chiamavo Edward Teach e vivevo su una nave nel Mar dei Caraibi con la mia ciurma.
Mi vestivo con un mantello nero in cui nascondevo dei proiettili di riserva, un cappello da capitano nero, una giacchetta marrone e un paio di pantaloni neri.
Persino la mia barba era nera!
Questo perché per intimorire i nemici mettevo dei pezzi di miccia accesi sotto la barba. MI sentivo un re, avevo tutto quello che volevo: una barca, una ciurma, bevevo rum ed ero il terrore dei marinai.
Pensate che ho anche cantato in un cartone animato, mi sembra che si chiamasse Spongebob.
Comunque voi non siete qui per sentir parlare di questo, vero?
Allora state pronti perché vi racconterò come ho perso per la prima volta.
Tutto iniziò quando la Marina inglese mi stava rincorrendo perché avevo salvato un mio amico dall’impiccagione. Procedevamo a gonfie vele, però gli Inglesi ci sorpresero.
Da dietro una scogliera uscirono altre navi inglesi e cominciarono a prenderci a cannonate. “Com’è possibile?” mi sono chiesto.
Per la prima volta assaporavo la paura…
Proprio in quel momento il mio primo ufficiale Uncino saltò dalla nave e raggiunse gli Inglesi: erano d’accordo!
Cercai di scappare, ma inciampai in una corda con attaccata una palla di cannone. E così affondai con la mia nave.
Con il mio ultimo respiro maledii Uncino e gli urlai che avrebbe vissuto il resto della sua vita da cane su un’isola immaginaria.
Fatto questo spirai.
Spero che questo racconto vi sia piaciuto amici miei.
Forse ci incontreremo ancora, magari nella stiva di qualche nave inglese mentre la distruggo.
Per ultima cosa ripetete con me:
Quindici uomini sulla cassa del morto Yo-ho-ho!
E una bottiglia di rum!


L'ORTO: NON SOLO PRATICA!

di Simone Suriano

Il 17/12/2021 noi del gruppo “Orto” dalle ore 9:00 alle ore 10:00 ci siamo recati nell’aula 1 al terzo piano per seguire un’altra lezione di teoria con il Dott. Valter Pironi.

Per prima cosa abbiamo subito ripassato le cose dette nella lezione precedente per rinfrescare la mente, come i vari tipi di piante: quelle da fusto, quelle da fiore, quelle da foglie e infine quelle da radice.

Poi abbiamo imparato dove si può coltivare l’orto: in un posto in cui ci sia: acqua, sole (quindi energia), e una buona circolazione di aria/vento; su un terreno fertile, drenante e ricco di sostanze organiche.

Successivamente il Dott. Valter Pironi ci ha spiegato come dev’essere il terreno ideale per l’orto ossia: più o meno fertile e anche se un po’ duro non fa niente perchè sopra il terreno ci si può mettere il letame di animale oppure il compost (un’ insieme di scarti da cucina ed altro come se fosse concime) così il campo diventa più “lavorabile”. In più ci ha detto che le piante che hanno troppo sale non sopravvivono infatti vicino alla spiaggia non ci sono piante o c’è ne sono poche per via del sale del mare.

Dopodiché ci ha spiegato quando è meglio piantare alcuni ortaggi:

ⲻ Da Gennaio-Febbraio: spinaci, insalata, cipolle, aglio, cavoli
ⲻ Da Febbraio-Marzo: mais
ⲻ Da Gennaio-Febbraio e da Settembre-Dicembre: melanzana

Ci ha poi illustrato i diversi tipi di semina che sono: la seminatura e quella di trapianto e ha tirato fuori dalla sua borsa dei barattoli contenenti dei semi di lattuga, pomodori e di anguria.

Ha spiegato infine anche le cose importanti durante la semina che sono:
    •    l’irrigazione
    •    lavorazione superficiale al terreno
    •    Il sostegni di legno per alcune piante (pomodoro)
    •    Le cimature e sfemminellature
    •    La lotta contro i parassiti

Poi alle ore 10:00 ci siamo salutati, siamo usciti dall’aula lasciando il posto ai nostri compagni del secondo turno.