mercoledì 5 gennaio 2022

RACCONTI D'AVVENTURA

UN DUPLICE BOTTINO

Di Sofia Crepaldi 2B

Il mio nome è Francis Drake e sto per raccontarvi perchè la regina inglese mi nominò cavaliere.
Eravamo in mare già da almeno due settimane alla ricerca del tesoro sommerso.
Nel tragitto per arrivare agli scogli avevamo incontrato un galeone presumibilmente spagnolo; non l’abbiamo attaccato perché trasportava solamente merci che a noi non sarebbero mai servite.
Avevamo un solo obiettivo: trovare il magnifico bottino; c’eravamo quasi, i mappografi nella stiva avevano ristretto di molto il campo in una zona scogliera a nord-ovest. Ero sulla poppa a guardare il tramonto colora di arancione il cielo e le acque del mare aperto diventare sempre più scure, quando mi arrivò la notizia che avrebbe stravolto la mia vita.
Henry, un pirata alto e smilzo, con una giacchetta color marroncino, una bandana color rosso per tenere indietro i capelli e bene in vista sui due lobi due grandi orecchini a penzoloni color nero con una croce (lui credeva che questo lo avrebbe salvato dall’annegare o dall’essere mangiato dagli squali), mi disse che il luogo era stato trovato.
Fui invaso dalla felicità, ma non lo diedi a vedere neanche un po’ e con voce fredda e sicura chiesi: - Dove dobbiamo dirigerci?-.
Anche lui era rimasto impassibile, Henry mi era sempre piaciuto, aveva quella marcia in più che lo distingue dagli altri, inoltre mi è sempre stato fedele dicendomi chi tramava contro di me e chi invece mi onorava.
- Venti leghe a nord-ovest, il vento ci è favorevole, quindi meglio partire subito - mi rispose con la sua voce profonda e calma.
Diedi subito l’ordine che mi aveva suggerito Henry e dopo poco avevo già il vento che mi soffiava in faccia, raffreddandosi la punta del naso.
Mi accorsi che il sole era tramontato, quindi mi dileguati nella mia cabina pensando a quello che avremmo fatto domani per recuperare il tesoro nelle profondità dell’oceano; cercavo la giusta tattica, il modo migliore per prendere la mercanzia e volare sul mare evitando velieri per non affondare o perdere alcuni miei marinai.
Pensai a quello che avrei fatto dopo con tutta quella ricchezza, non avrei avuto più bisogno di andare in giro per il mondo in cerca di piccoli spiccioli che poi avrei usato in una settimana; però stare in una casa con il camino acceso a guardare fuori dalla finestra la neve che cade mi sembrava estraneo, strano, una cosa che non faceva per me.
In quel mare di pensieri mi addormentai con gli angoli della bocca rivolti verso l’alto e la faccia rilassata come un bimbo che fa un bel sogno.
Il giorno dopo ci ritrovammo davanti ad una grande scogliera.
- Dobbiamo entrare da lì - disse una voce alle mie spalle.
Era Henry, stava indicando un piccolo buco da cui sarebbe potuta entrare non più di una persona alla volta.
- Prepara venti marinai, andremo a piedi -.
Harry annuì con la testa e andò a svolgere il compito da me richiesto.
Mezz’ora dopo eravamo sulla spiaggia davanti all’entrata che ci avrebbe condotto al tesoro; nel tempo in cui Henry preparava gli uomini io andai dai mappografi e chiesi come sarebbe stato l’interno delle grotte, che insidie avremmo potuto trovare.
Uno mi rispose che avrebbe dovuto esserci una sola galleria che poi ci avrebbe condotto ad uno spazio circolare con una pozza d’acqua nella quale c’era il tesoro.
Un altro aggiunse che non avremmo potuto usare gli esplosivi e nessuna arma da fuoco perché la galleria ci portava sempre più in profondità e se anche solo una roccia si fosse crepata le acque del mare avrebbero invaso tutto e saremmo morti annegati.
Il rumore della sabbia calpestata dai marinai mi riportò nel presente.
Entrai io per primo seguito da Henry e poi dagli altri.
La galleria era esattamente come ce la si immagina: buia, umida, sembrava quasi senza fine.
Rimase così per almeno un quarto di miglio, poi iniziò a vedersi una luce bluastra che si avvicinava sempre di più fino a ritrovarsi nello spazio circolare descritto dai mappografi.
Sinceramente me lo immaginavo diversamente: la luce bluastra arrivava da terra dove c’era l’acqua cristallina, ipnotizzante, così tanto bella che avrei potuto guardarla tutto il giorno senza mai stancarmi; aveva un colore blu, però allo stesso tempo sembrava azzurrina… Dopo un po’ che la si guardava diventava inquietante perché non si riusciva a vedere il fondo e la vista si perdeva in un “muro” quasi nero che faceva diventare l’atmosfera tetra e animata da squali, da morte.
Le pareti erano di colore grigio, frastagliate al tatto, queste, non so perché, mi piacevano; questa “grotta” era il luogo ideale per nascondere un tesoro, se avessi potuto conoscere il proprietario mi sarei complimentato con lui per la perfetta edificazione.
Quello spazio metteva soggezione come se tu stessi per fare un atto orribile, però al contempo invitava a farlo e così la tua mente andava in confusione, non sapendo più quale fosse il vero obiettivo.
La parola obbiettivo mi riportò alla realtà da quello stato di pazzia, mi girai verso i miei marinai, ne scelsi due robusti e forti che avrebbero potuto prendere il forziere e li feci calare con delle corde legate alla vita nelle acque scure.
Il tesoro sarebbe dovuto essere incastrato in una delle rocce sottostanti; dopo un paio di immersioni durate poco più di trenta secondi i marinai dissero che non c’era nulla.
Non credetti loro così scendemmo io e Henry; per non rimanere bagnati dopo l’immersione tolsi il mio lungo mantello e i miei stivali di cuoio neri.
Mi immersi e mi infilai sotto un piccolo strato di roccia, lì sotto c’erano molti massi ancorati gli uni agli altri, li tastai uno ad uno, però erano tutti dello stesso materiale, non c’era nessun forziere così risaliti in superficie.
Lì c’era Henry con una faccia arrabbiata e un pezzo di stoffa in mano.
- Sono arrivati prima gli Spagnoli - mi informò.
Uscii velocemente dall’acqua e mi vestii, diedi l’ordine di tornare indietro e la marcia iniziò molto più frettolosa rispetto a quella d’andata.
- Devono essere arrivati poco prima di noi e sono stati molto più veloci - mi sussurrò Harry.
- Come fai a saperlo? - ringhiò in preda ad un attacco di rabbia.
- Di notte la corrente del mare aperto è molto forte e questo piccolo pezzo di stoffa sarebbe già stato trasportato via -.
Annuii e sospirai quasi ridendo perché l’intelligenza di Henry stava emergendo ancora e questa cosa era abbastanza rassicurante.
La luce della spiaggia era vicina, mancava poco e noi avremmo potuto distruggere gli Spagnoli e prendere quello che ci avevano rubato.
Una volta sulla spiaggia chiesi ai marinai della nave se avessero visto un galeone spagnolo e questi annuirono: Henry allora aveva ragione.
Accelerai il passo e poco dopo mi ritrovai sul ponte del mio veliero, presi il binocolo e guardai in tutte le direzioni alla ricerca degli Spagnoli…trovati!
Andavano verso sud, avevamo il vento a favore per raggiungerli.
Con tutte le vele spiegate ci dirigemmo all’inseguimento, dieci minuti dopo eravamo lì, fianco a fianco: i cannoni che avevamo preparato servirono adesso.
Bombardammo la stiva facendo affondare lentamente la nave.
Mettemmo una passerella per salire sull’altra nave a prendere il tesoro e con le armi sguainate iniziammo a sparare in giro, avvicinandoci sempre di più all’albero maestro dove c’erano grossi bancali. Dei marinai erano in difesa ed iniziarono a sparare; le mie munizioni stavano finendo quindi avrei dovuto usare la spada. Ero abbastanza vicino da poter disarmare alcuni Spagnoli ed Henry riuscì a metterli al tappeto con una bastonata in testa.
Finalmente i marinai erano scappati oppure svenuti, così mi avvicinai ai bancali e vidi scintillare diamanti e monete del bottino; ordinai ai miei uomini di spostarlo sul nostro galeone il più in fretta possibile perché la nave stava affondando.
Non dissi nulla rispetto al fatto di non rubare niente perché sapevano bene che il bottino sarebbe poi stato diviso tra tutti noi e se avessi scoperto che qualcuno aveva rubato qualcosa la punizione sarebbe stata la passerella.
Mi ritirai in coperta pensando a quello che avrei fatto con quella ricchezza…
Avrei voluto rientrare in patria però non lo sapevo bene perché ero stato molto tempo in mare e la terraferma sembrava troppo sofisticata per me, inoltre ero ricercato e avrei dovuto chiedere alla regina la grazia.
Ero in coperta quando mi venne in mente un’idea geniale!
Per farmi graziare dalla regina le avrei inviato una parte del tesoro!
Passai davanti al mio specchio e vidi il mio riflesso: un uomo abbastanza giovane, sulla trentina, con i capelli corti neri e baffetti a punta, anch’essi neri.
I miei occhi non erano felici, nel senso che erano gli occhi di chi deve guidare un gruppo di furfanti per mare. Non avevo la barba ed il mio collo sbucava dal colletto della giacca a strisce blu e bianche, coperta in parte dal lungo mantello nero e rosso di velluto; me lo ero potuto permettere grazie a un grande colpo nei pressi dell’Italia.
I pantaloni avrebbero dovuto essere bianchi però, per la loro lunga vita, ormai erano grigi e a macchie anche nere; i miei piedi erano coperti da stivali di cuoio nero molto protettivo e che evitano il congelamento.
Ero il tipico corsaro, alto e smilzo così da poter essere agile nella lotta e incutere paura al nemico.
Ripensai a quando ero piccolo, in Inghilterra, a quando, in inverno, mi mettevo vicino al camino per leggere un libro è così mi venne nostalgia: non c’erano dubbi, il mare mi piaceva, però dovevo tornare a casa.
Così presi carta e penna d’oca e iniziai a scrivere una lettera alla regina in cui le dicevo che ero cambiato e che per dimostrarglielo le avrei inviato un ricco bottino che avevo ricavato dalla mia ultima “avventura”. Firmai con il mio nome, legai la lettera alla zampa di un piccione viaggiatore e lo liberai nell’aria.
E così eccomi qui, un mese dopo, nella mia patria con la nomina di cavaliere tra le mani.



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