La mattina del 22 gennaio 2019, più precisamente alle 7:15, ci siamo riuniti davanti alla palestra, in attesa del bus privato che ci avrebbe portato alla Stazione Centrale di Milano. Dopo un abbondante quarto d’ora passato al freddo e al gelo, la nostra pazienza è stata ripagata dalla veduta del mezzo di trasporto tanto atteso.
Una volta giunti al Memoriale del Binario 21, ho subito capito meglio come avvenivano le deportazioni. Le sfortunate persone venivano condotte in un’area che inizialmente era utilizzata per il trasporto merci ( posta). Per non destare sospetti il vagone dei deportati veniva sollevato da un montacarichi e attaccato alla locomotiva. Quell’entrata segreta era rimasta tale fino a quando Liliana Segre, un’ebrea italiana sopravvissuta, non ha raccontato la sua storia. E’ lei, infatti, che ha voluto la costruzione del Memoriale. Afferma che le atrocità della Seconda Guerra Mondiale sono avvenute perché a molte persone non importava ciò che stava accadendo: rimanevano indifferenti.
Questo spiega il motivo della scritta “ Indifferenza” all’interno del Memoriale. Rappresenta quindi una sorta di monito per ricordare che i colpevoli non sono solo nazisti e fascisti, ma anche le persone che potevano fare qualcosa e non l’hanno fatto.
Liliana Segre è una persona molto importante anche dal punto di vista storico, perché era presente anche quando sono state fatte le leggi razziali nel 1938 (che le negarono la possibilità di andare a scuola), ha sperimentato sia quello che significa essere deportata sia l’orrore dei campi.
Dopo la vista al Memoriale abbiamo iniziato il progetto su Terezin (un argomento sempre inerente alla Shoah), che si è concretizzato in una mostra al Centro Congressi Medioevo il 7 febbraio.
Divisa in due parti, inizialmente 6 dei nostri compagni hanno parlato di Terezin dal punto di vista storico e in seguito gli altri ( me compreso) si sono dedicati alla lettura e alla spiegazione di alcune tra le molte poesie scritte dai bambini del ghetto ( tutto questo si è ripetuto due volte sia per la 2^A sia per la 1^A).
Per prepararci all’esposizione finale ci siamo documentati in modo approfondito dal punto di storico sull’origine del ghetto, le condizioni di vita, alcune testimonianze lasciate dai bambini e dagli insegnanti.
Inizialmente Terezin aveva la funzione di città fortezza contro i prussiani. La fece costruire Giuseppe II d’Asburgo nel 1780 e la dedicò a Maria Teresa, sua madre. La fortezza si trova in Cecoslovacchia ed è divisa da un fiume in Fortezza Grande e Fortezza Piccola. Nella prima alloggiavano i soldati, mentre nella seconda venivano rinchiusi i prigionieri pericolosi, come Gavrilo Princip, l’artefice dell’attentato che fece scoppiare la Prima Guerra Mondiale.
Passiamo ora al ruolo che Terezin occupò nella Seconda Guerra Mondiale.
I nazisti la trasformarono in un ghetto dove rinchiudere gli ebrei della Cecoslovacchia. Successivamente, nel 1942, decisero di trasformarlo in un ghetto modello, destinato a ospitare persone con una certa rilevanza tra i cittadini. I deportati cominciarono ad aumentare in modo esponenziale, tant’è che da 28.000 passarono a 149.000 circa.
In quel luogo non c’era la benché minima privacy, le persone dormivano sul pavimento lurido, ricevevano cibo immangiabile, lavoravano fino a 12 ore al giorno.
I bambini venivano separati dagli adulti e a loro volta divisi tra maschi e femmine. Erano organizzati in gruppi ( Zimmergemeinshaft) e affidati ad adulti che si offrivano spontaneamente per questo compito. Anche se fare scuola ai bambini era severamente vietato, in molti di loro sembrava davvero morta la voglia di vivere e per far sì che questo non succedesse, gli insegnanti mettevano a rischio la propria vita per insegnare ai bambini del ghetto. Riscrivevano i libri di testo a memoria, facevano imparare i fondamenti della matematica, della grammatica, dell’ arte, della musica e del teatro. Si trattava di infondere passione e ottimismo piuttosto che far apprendere sterili nozioni. Perché educare non significa riempire un secchio ma accendere un fuoco: una verità enunciata dal filosofo francese Montaigne, applicata dai maestri del ghetto e tuttora attuale.
Alcuni insegnanti erano Friedl Dicker Brandeis, un’artista che aiutava i bambini a superare la vita nel ghetto facendoli disegnare, Valtr Eisinger, che fece appassionare i suoi “ studenti” alla letteratura e alla poesia.
Le composizioni venivano scritte per sfogarsi e per lasciar briglia sciolta ai sentimenti. Tra le 66 poesie, quella che mi ha coinvolto maggiormente è stata “ La Rosa”, il cui autore è sconosciuto. Si tratta di un testo breve, intenso e dal significato relativamente oscuro. Protagonista è una rosa, descritta tramite un’antitesi, come “ appassita/ vigorosa”. Un fiore sta morendo lentamente, probabile metafora della vita nel ghetto, ma emana un profumo raro e stupendo, simbolo di resistenza, speranza e forza dei ricordi per continuare a vivere. I bambini di Terezin creavano e nascondevano le loro creazioni come un seme, un tesoro, un testamento. In un certo senso il dramma della Shoah e le loro lacrime sono giunte a noi tramite colori e parole, impregnando la nostra memoria e superando pertanto il limite della morte.
Daniel Bernasconi Classe 3^A
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