giovedì 7 marzo 2019

Il racconto della mostra sul ghetto di Terezin e della visita al Memoriale della Shoah


Nei giorni dal 4 al 10 febbaio 2019, presso il centro Medioevo, si è svolta la mostra “Attraverso gli occhi dei bambini - Disegni e poesie nel ghetto di Terezin”, presentata dalle classi terze dell’Istituto Comprensivo Michelangelo Buonarroti di Olgiate Comasco. Questo lavoro si è inserito in un più largo progetto sulla Memoria che ha coinvolto i nostri compagni dal mese di gennaio e li ha portati anche a visitare il Binario 21 - Memoriale della Shoah di Milano.

Ecco il racconto di Riccardo Papavero della classe 3C.

TEREZIN E BINARIO 21

Il 1938 in Italia, con le leggi razziali, segnò  l’inizio del dramma.
 “Gli ebrei non possono avere domestici ariani”, “Gli ebrei non possono essere proprietari di terreni o fabbricati”, “Non vi possono essere ebrei nelle amministrazioni”, “Non vi possono essere ebrei nelle scuole”… Sulle vetrine dei negozi cominciarono  ad  apparire scritte di questo tenore: “Vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani”… La distruzione di una “razza” presa di mira  dagli “ariani” portò al delirio generalizzato coperto dalle leggi e dalle successive  deportazioni.
Tutto ciò che accadde da lì in poi è la crudeltà, la follia totalitaria ed il tentativo di annientare un popolo senza alcuna ragione.
Il 24 gennaio abbiamo visitato il Binario 21, situato al di sotto della stazione centrale di Milano.
I nazi-fascisti usufruirono di questo luogo  per non dare nell’occhio,  caricando nei vagoni per il bestiame moltissimi ebrei ammassati fra loro, poi, grazie ad un montacarichi, i convogli venivano fatti salire alla stazione per poi partire diretti ai campi di concentramento.
Al museo ho potuto capire come i non ebrei  rimanessero indifferenti di fronte ad una tale tragedia.
Per esempio, come ci ha spiegato la guida, alcuni ferrovieri hanno negato, durante i processi, di aver udito qualcuno urlare, piangere o chiedere aiuto. D’altro canto alcune persone, nel loro piccolo, hanno compiuto dei gesti stupendi. Don Bussa, per esempio, riuscì a salvare dei bambini ebrei (che rimasero orfani affidati dai loro genitori a lui. Anche se molto difficile, dato che già da piccoli gli ebrei venivano circoncisi ed erano facilmente riconoscibili, il parroco riuscì a sottrarli al pericolo fuggendo, con loro, nelle campagne della provincia di Bergamo. Un altro “giusto” fu l’ingegner Moneta che, a suo rischio, nascose nella sua fabbrica un ebreo. Però un suo operaio “ariano”, sentendo degli strani rumori, andò a denunciare il fatto alle forze dell’ordine che fecero deportare sia l’ebreo che il buon signor Moneta. È incredibile pensare come un uomo possa “vendere” due vite per avere dello sporco denaro, poiché sugli ebrei era stata fissata una taglia di 5000 lire. C’erano anche altre persone che “vendevano” vite umane. Questi erano i contrabbandieri. Prima il loro lavoro era quello di contrabbandare i prodotti svizzeri, successivamente gli ebrei. Facevano pagare gli ebrei molto salatamente con la falsa promessa di portarli al confine svizzero, paese neutrale; però giunti alla meta consegnavano gli ebrei  ai nazi-fascisti, ricevendo  soldi anche da loro! Questo accadde alla sopravvissuta Liliana Segre che, dopo essere stata illusa in questo modo, venne deportata ad Auschwitz insieme a suo padre, che però non riuscì a rivedere mai più.
Un ghetto che ha avuto un destino particolare è stato quello di Terezin. In origine il suo nome era Theresienstadt, fatto costruire dall’imperatore d’Austria in onore di sua madre Maria Teresa. Era una fortezza a forma poligonale con mura e bastioni, veniva usata come prigione;  ma quando i tedeschi conquistarono la Cecoslovacchia la resero un ghetto, prima per gli ebrei “fastidiosi”, ovvero artisti, musicisti, attori…, poi come campo di transito da cui si partiva per andare verso la morte certa, Auschwitz. Le condizioni erano pessime, ai limiti della sopravvivenza e una poesia le esprime molto bene. “Siamo abituati”: così ha inizio la poesia di un mio, allora, coetaneo, tanto sfortunato da perdere la vita in un campo di concentramento.
Nei giorni drammatici, di dolore e sofferenza, ciò che sciocca di più è comprendere che ci si può abituare al disumano, a qualcosa di impossibile anche solo da immaginare.
Un giovane di qualsiasi religione deve e può abituarsi a nuovi ambienti, a nuovi amici, a nuovi metodi di studio, non ad essere malnutrito, nudo, aggredito, ferito, infelice, infreddolito, solo, sporco e malato.
Nella poesia il ragazzo scrive e ripete più volte “Ci siamo abituati” ed intende alla morte, al vederla partire, arrivare, andare e tornare tra casse di legno, viaggi senza ritorno, fumi e camere a gas, percosse.
Nessuno dovrebbe rassegnarsi  all’infelicità ed alla  morte, invece così fu e lo si legge in questi scritti molto chiari, ma al tempo stesso tremendi.
La premessa a tutto questo iniziò in modo subdolo, allontanando gli ebrei, emarginandoli, facendo chiudere negozi ed attività di loro proprietà, come nel caso  di Dagmar Lieblova che racconta di come,  prima del ’39, i rapporti tra ebrei e ariani fossero sereni.
La giovane verrà anch’essa deportata a Terezin;  nel dolore, come unica forza per sopravvivere,  troverà l’amore di assistenti solidali pronte, con la cultura e la musica, a dar speranza per il futuro.
Un’altra testimone sopravvissuta è la  tedesca Charlotte Opfermann che fu arrestata a 17 anni e racconta l’incubo delle malattie vissute, della sporcizia, della fame, del lavoro duro e del suo coraggio nel resistere a tutto attraverso storie e fiabe lette e recitate ai bambini,  per far loro vivere quel mondo esterno ormai sconosciuto.
L’olandese Gabriele Silten, invece, descrisse il suo allucinante doppio ruolo, come quello dei tanti altri bambini all’interno di un campo: messaggeri di morte o Angeli della Morte, cioè portatori,  agli sfortunati, della notizia di un imminente trasporto per Auschwitz; nonché come manovali nel passare le scatole contenenti le ceneri dei cadaveri bruciati,  perché venissero smaltite nel fiume.
La ricompensa ricevuta, un pezzo di salsiccia, lei non riuscì a condividerlo mai coi genitori,  per eccesso di fame e questo le creò un senso di colpa che si portò sempre dentro..
Carla Cohn, tedesca anch’essa,  è tra coloro che raccontarono lo squallore della menzogna, il far nascere negozi, scuole, giardini all’arrivo della Croce Rossa per celare la verità; l’assurdo fu che i nazisti fecero girare anche un film come forma di propaganda e gli attori chiamati a recitare in “Hitler regala una città agli ebrei” furono i primi ad essere uccisi nelle camere a gas, così che non ci potessero essere testimoni.
Da 15.000 bambini al di sotto dei 15 anni, ne sopravvissero  solo 100.
È quasi impossibile credere che sia accaduto: il corpo di un bambino non può essere violato o essere frutto di esperimenti, le madri morenti non possono essere l’ultima immagine per i loro figli, gli uomini sottopeso e malati non possono scavare per seppellire amici e parenti.
Invece è accaduto,  ma per la mia mente è inconcepibile e inaccettabile!
Il ricordare non dev’essere vissuto solo come un momento di tristezza, ma io credo che debba aiutare a fare in modo che nulla di simile possa riaccadere. Mai più!

Nessun commento:

Posta un commento