domenica 8 marzo 2020

Visita al Memoriale della Shoah - 3A-3B

Il 5 febbraio noi, 3°A e la 3°B abbiamo visitato il Memoriale della Shoah a Milano. Siamo partiti la mattina e alle dieci eravamo a Milano. Quando il pullman ci ha lasciati abbiamo percorso un tratto di strada a piedi per arrivare alla Stazione Centrale. Siamo entrati e ci siamo seduti aspettando le indicazioni della guida. All'ingresso abbiamo notato il muro, gigantesco, con inciso la parola “Indifferenza”. La guida ci ha spiegato che quel muro è stato voluto da Liliana Segre, che ha deciso che la parola chiave fosse indifferenza, l’indifferenza che in quegli anni di guerra ha reso possibile e facilitato lo sterminio degli ebrei. E’ inoltre stata lei a riconoscere che fosse stata proprio la Stazione Centrale il luogo di partenza dei treni diretti ai campi di sterminio. Senza di lei, il Memoriale non ci sarebbe. Ci trovavamo nella parte iniziale e ancora illuminata della Stazione Centrale, perchè come ci siamo accorti avanzando la luce si diradava, per la mancanza di finestre, e non solo. Quando abbiamo iniziato il nostro giro ci siamo immersi pian piano nell’atmosfera creata da una illuminazione sempre più debole. Tutto grosso modo era come lo si trovava durante quegli anni, e anche allora era buio, perché i tedeschi e i fascisti non volevano far vedere quello che succedeva all’interno della stazione. Ci siamo poi spostati più all’interno della stazione ed effettivamente la luce diminuiva. La guida ci ha spiegato la situazione degli anni ‘40 circa in Italia. Nel 1938 anche qui vennero emanate le leggi razziali e gli ebrei iniziarono a non poter più andare a scuola, a non poter più possedere un negozio e a non poter più comprare nulla. Nel 1943 ecco che anche dalla Stazione Centrale, dopo l’alleanza tra Hitler e Mussolini e dopo che l’Italia prese parte al secondo conflitto mondiale, alleata alla Germania, iniziarono a partire i treni carichi di deportati, diretti ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento e di sterminio. Ci siamo poi inoltrati ulteriormente nella stazione fino ad arrivare ad un piccolo convoglio appoggiato alle sue rotaie. Quello era uno dei tanti vagoni che dal 1943 aveva intrapreso il viaggio verso i campi di sterminio, al tempo carico di persone, strapieno di ebrei, ladri, omosessuali e oppositori politici. Noi l’abbiamo visto, ci siamo saliti sopra e abbiamo scoperto quanto realmente fosse piccolo, visto dall’interno poi sembrava di essere rinchiusi. Proprio quel convoglio, si spostò su quelle stesse rotaie, fino ad arrivare, carico di persone, in fondo ad esse, dove veniva sollevato da un montacarichi controllato da un addetto. Così veniva composto l’intero treno sul piano superiore, un convoglio alla volta, un treno come gli altri, lontano dalla gente della stazione, perchè già fuori dalla copertura. Nessuno ci faceva caso o almeno nessuno faceva nulla se si accorgeva che lì c'erano delle persone.
E in questo ritroviamo il discorso di Liliana Segre, con l'insistenza sul termine “indifferenza”, perché a quasi nessuno interessava la sorte dei deportati, e tra quei pochi, quasi nessuno agiva.
Finalmente ai binari, abbiamo visto davanti a noi una parete, piena di nomi proiettati. Quelli erano i nomi di tutti i deportati, tutti in bianco, oltre settecento, tranne ventisette in rosso: i nomi di chi era tornato. Sul pavimento c’erano anche delle grandi pietre d’inciampo, che ricordavano ognuna un treno partito da lì, con la data e la meta, in tutto erano 20.
La nostra visita si è conclusa in una specie di cupola, illuminata da una luce fioca, posta all’inizio dei binari, accanto al muro dei nomi. Al suo interno, sul pavimento c’era una lastra in ferro che, ci ha spiegato la guida, puntava verso Gerusalemme. Questo perché Gerusalemme è la città delle religioni monoteiste ed è un modo per rappresentarne l’unione e la pace. Quando siamo usciti dalla cupola, abbiamo letto le storie di vari giusti delle nazioni come Irena Sendler, che avevamo già conosciuto in classe.
Questa visita è riuscita a farci immergere nell’atmosfera della Stazione Centrale di allora, anche se è impossibile riuscire a immaginare come si sentivano davvero i deportati.

       Alessandro Piazza

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