Martedì 11 febbraio, terza D e terza E si sono recati al Memoriale della Shoah a Milano, collocato sotto la Stazione Centrale. Appena arrivati, ci siamo seduti proprio davanti a un enorme muro in cemento armato, dove ci ha accolti una guida che ci ha spiegato il significato di questa enorme parete sulla quale campeggia la parola “indifferenza” a caratteri cubitali: è stata la senatrice Liliana Segre, milanese di origini ebree, a volere questo muro perché, quando, suo padre Alberto e lei, appena tredicenne, furono portati alla stazione per essere deportati ad Auschwitz, le persone erano indifferenti, facevano finta di niente, avevano paura.
La guida ha accennato all’inizio della guerra e all’emanazione delle leggi razziali, diffuse attraverso manifesti di propaganda dove veniva evidenziata l’inferiorità degli ebrei e degli uomini di colore, che venivano rappresentati come bestie e come selvaggi. La guida era molto brava ed è riuscita a catturare la mia attenzione, peccato che si sia dilungata al punto da lasciare in sospeso il suo discorso. Successivamente, in silenzio, ci siamo avviati verso la riproduzione fedele del treno con cui gli ebrei venivano deportati ad Auschwitz. L’ambiente era inquietante perché molto buio, le luci erano fioche, faceva freddo e, ogni cinque minuti, sentivamo sopra le nostre teste treni in transito. A tutto questo si aggiungevano le parole della guida che ci ha spiegato l’orrore che avevano vissuto moltissime persone, anche bambini. Il Memoriale, infatti, corrisponde al cosiddetto “Binario 21”, uno spazio sotterraneo alla stazione Centrale di Milano che veniva utilizzato per smistare la corrispondenza proveniente dalla sede della Posta, situata nel palazzo di fronte, caricandola su vagoni merci che venivano sollevati attraverso un sistema di leve, fino al binario 21 all’altezza della stazione. Durante la Seconda Guerra mondiale, lettere e missive furono sostituite dagli Ebrei. Questo dimostra che essi erano considerati oggetti e dovevano essere trasportati di nascosto.
La guida ci ha fatto entrare in uno dei vagoni… che brividi! E pensare che lì venivano stipate circa 100 persone per più di una settimana, ignare della destinazione finale, con sette gallette a testa, un secchio per i bisogni, senza sedie e senza finestre. Dopo aver oltrepassato il binario passando attraverso il vagone, abbiamo raggiunto un muro su cui erano proiettati i nomi delle persone deportate da quella stazione dal 6 dicembre 1943 al 30 gennaio 1944. Sul pavimento erano presenti lastre che riportavano le tappe che ha compiuto il treno carico di uomini, donne e bambini ebrei, deportati per la sola colpa di essere nati. I nomi erano in tre colori diversi: in bianco quelli delle persone che non hanno mai fatto ritorno dai campi di sterminio, in giallo coloro che si sono salvati ma sono mancati di recente, in rosso i sopravvissuti ancora in vita.
Dopodiché siamo entrati nel “Luogo di riflessione”, una sala a forma tronco-conica con diametro di circa 10 metri con una panca circolare sul perimetro, che consente il raccoglimento dei visitatori. Non sono presenti simboli religiosi, solo una luce fioca, ad indicare i Giusti del mondo che, invece di essere indifferenti come tutti, hanno cercato di aiutare gli Ebrei. Mi ricordo l’esempio di un ciclista, Fausto Coppi, che nascondeva, nella sua bici, documenti falsi destinati agli ebrei. Insieme a lui tanti altri vengono ricordati nel Giardino dei giusti, un’area appositamente creata all’interno dell’istituto e museo “Yad Vashem” di Gerusalemme. Di fianco al “Luogo di riflessione” si trovava una mostra d’arte temporanea sulla Shoah che abbiamo visitato velocemente prima di tornare a scuola. E’ stata un’esperienza indimenticabile.
Giuseppe Nicosia III D
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